Da qualche settimana un ciclone improvviso sta facendo scattare l'emergenza tra i difensori della Serie C. Probabilmente non ne avete ancora sentito parlare: Raphael Chidi Odogwu, attaccante della Virtus Verona e proveniente dai dilettanti, ora siede accanto alle star del professionismo. Fisico massiccio, fascino esotico e capigliatura alla Valderrama, questo ragazzo non passa di certo inosservato. Ma ultimamente chiunque parli di lui lo fa solo per ciò che è in grado di fare sui campi di calcio.
Dopo i primi anni in Serie D alla Virtus Verona, dove l’acerbo gigante d’ebano inizia a dirozzare il suo talento, Odogwu vive una prima parentesi professionistica (prima con la Virtus Verona in C2, poi tra Real Vicenza e Renate in C) apparentemente stregata: “Provavo a segnare in tutte le maniere, ma la palla non voleva entrare. A Renate finii presto ai margini del progetto tecnico, ebbi un forte diverbio con l’allenatore. Decisi di ritornare in Serie D”. Ad attenderlo nel ritorno tra i dilettanti, a sua insaputa, le celeberrime sliding doors: “Potevo scegliere se tornare alla Virtus o provare l’Altovicentino, al tempo un vero squadrone. Mi stuzzicò la seconda opzione che cambiò totalmente la mia vita: incontrai Zironelli, un uomo splendido, mi diede l’unica cosa che cercavo: la fiducia. Quell’anno ero di fianco a molti campioni e segnai comunque 17 gol”.
Ma le transizioni, per quanto possano apparire sorprendenti, a volte rischiano di rimanere incompiute. Come un contropiede ben condotto al quale manca sempre l’ultimo passaggio. Odogwu passa all’Arzignano Valchiampo, dove tiene fede ai suoi numeri da bomber, scala le graduatorie del girone, riceve numerosi attestati di stima. Persiste però nell’attorniarlo come una sottile aura di diffidenza. Il verdetto di giornalisti e dirigenti di varie società rimane sempre lo stesso: “Sì, bel giocatore…tra i dilettanti”. È un codice a barre marchiato su pelle viva. Un’etichetta incollata con troppa superficialità sulle spalle possenti del giovane Raphael. Forse, pensa, l’unica rivincita possibile consiste nella vittoria di un campionato, che puntualmente arriva l’anno scorso coi sopracitati vicentini, per la prima volta promossi in Serie C soprattutto grazie alle 13 reti dell’italo-nigeriano. Sembra tutto pronto per l’ancoraggio al professionismo, invece qualcosa si spezza: “L’Arzignano mi ha tagliato dal progetto con un sms. L’ultima volta che ho sentito il Presidente Chilese è stato il 5 maggio, il giorno della vittoria del campionato; il Direttore mi ha scaricato poco dopo”.
Sono giorni umidi, ombrosi, nonostante fuori sia estate e la splendida Verona venga irradiata dal sole. Ma si sa, le sorprese arrivano quando meno te le aspetti. Suoneria, squilla il cellulare, parte la chiamata: “Ciao Rapha, ti andrebbe di tornare a casa?”. Brividi verticali, gelidi lungo la spina dorsale. Dall’altra parte della cornetta c’è Luigi Fresco, storico allenatore-presidente della Virtus Verona che ha già allenato Odogwu anni prima. Era appena arrivata l’agognata proposta di giocare in C: “Fresco è stato l’unico a volermi, era il 27 maggio. Sappiamo molte cose l’uno dell’altro, io stimo molto lui e lui considera me come un figlio”. La Virtus era retrocessa sul campo il giorno prima, contro il Rimini, ma l’aria a Verona odorava già di riammissione: “Appena me lo ha chiesto, ho accettato subito. A dire il vero c’era stato un contatto anche l’anno precedente, ma al tempo ero legato all’Arzignano, volevo vincere il campionato e non potevo accettare. D’altronde quello è stato il momento più importante della mia carriera e lì ho raccolto i frutti del mio lavoro”.
A 28 anni e con qualche gol in più sulle gambe, Odogwu affronta la seconda fase professionistica della sua carriera. Nonostante la corpulenza (92 kg di puro adamantio), si presenta sin da subito in forma smagliante e nelle prime uscite lascia tutti a bocca aperta. “Nell’amichevole col Chievo segno subito. Dico, “è solo la prima…”; amichevole col Trapani e segno. Dico, “Sarà il calcio d’estate…”; Coppa Italia col Modena: segno anche lì. Dico “OK, ma la C è un’altra cosa”. Poi il debutto, ne faccio uno al Padova e due al Gubbio: "Allora ho pensato che sì, posso starci dentro…”. Oggi è in stand-by con 5 gol in 8 partite. Tanti, decisivi, per uno bollato come inadatto e che ora può girare fieramente sul set nei panni del protagonista. “La cosa buffa è che se fai decine di gol in Serie D rimani un fantasma, mentre se fai due buoni mesi in C sei sulla bocca di tutti. Continuo a ricevere chiamate, messaggi di complimenti ogni domenica. Il numero di followers sui miei social è schizzato. Questo campionato è dotato di una cassa di risonanza incredibile. È veramente bellissimo”.
Mancino, potente, a tratti inarrestabile. Un platano in movimento. Chi lo vede in azione sul campo da gioco trova facilmente il parallelismo con Romelu Lukaku: “Lui mi piace da quattro, cinque anni. In più sono interista… è il mio preferito assieme a Zapata, mi ispiro a loro. Quando guardo l’Inter con Clarissa - la mia ragazza - spesso nota: 'Tu e Lukaku fate le stesse cose!' Le sorrido, in effetti ha ragione. A Clarissa devo tanto, ci siamo conosciuti alle superiori: lei secchiona, io una capra. Mi aiutava a studiare e da lì è nato tutto… per stare con me sopporta diverse situazioni, ad esempio restare chiusi in casa il sabato sera. È davvero la mia forza”. La madre è italiana, il padre nigeriano (di Oguta). La vicinanza alla famiglia certamente sostiene Raphael, anche se, ammette: "Non parlo molto di calcio con i miei. Quando segno mio padre mi dice 'Bravo!', mentre quando gioco male 'Potevi fare meglio…'. Questi sono i nostri dialoghi: brevi e semplici, ma so che è orgoglioso di me. Gli piace quando i colleghi di lavoro mi nominano dopo avermi visto sul giornale”.
Un bomber meticcio, dal DNA per metà africano, che ama il paese e si sente italianissimo: "Sono nato a Verona, la mia vita è ed è sempre stata qui. Mi sono anche laureato in Economia e Legislazione d’Impresa. In Nigeria sono stato solamente una volta da piccolo, mi piacerebbe tornarci ora e poterla visitare con occhi diversi, ma mi sento italiano in tutto e per tutto”. Forse anche per questo non ha mai dovuto affrontare l’infamia dei razzisti: “Fuori dal campo non ho mai riscontrato problemi, anche perché grosso come sono uno ci pensa due volte prima di insultarmi. In campo nemmeno, non avendo mai giocato in grossi stadi con tifoserie numerose”. Anche se recentemente, dopo il derby col Vicenza, è stato coinvolto in un teatrino particolare: "Stavo rientrando negli spogliatoi quando i tifosi ospiti hanno gridato più volte il mio nome. Subito ho pensato che sarebbero partiti cori e minacce, invece era tutto uno splendido invito: “9, l’anno prossimo vieni a giocare con noi, sei fortissimo! Ti aspettiamo!”. Giocare nel Vicenza, per uno che in quella provincia debuttò in Serie C per poi vincere la Serie D, significherebbe più di una semplice rivincita: “Non conosco il mio futuro, però sto lavorando per togliermi le migliori soddisfazioni”. Lui che è riuscito ad ammassare 89 gol in carriera, e ora punta dritto verso quota 100. “Non parlo di obiettivi, ma è chiaro che arrivare in tripla cifra sarebbe un sogno”.
Ha estirpato maldicenze, abbattuto detrattori e luoghi comuni. Si è presentato all’opportunità della sua vita con la mentalità di Michael Jordan con la “45”. Così il Lukaku della Serie C ha iniziato a solcare il suo percorso, riprendendo esattamente da dove aveva finito: la palla in rete, l’abbraccio dei compagni, e il tabellino che recita sempre lo stesso nome. Raphael Chidi Odogwu.
A cura di Elia Faggion
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