'Lillo', soprannome che il primo giorno d’allenamento in blucerchiato gli diede Francesco Flachi, la chiama ‘incoscienza'. Perché segnare la prima rete in Serie A quando hai solo diciassette anni è impossibile da capire, e forse anche da descrivere con le parole. Tra le videocassette di Van Basten ed i sogni di gloria con la maglia dell’Acireale, la storia di Salvatore Foti è quella di un ragazzone coi piedi buoni che ha dovuto dire addio alla sua passione a soli 27 anni. Una carriera che sembrava tutta in discesa passata a scalare: tra infortuni, speranze ed una sciarpa della Sampdoria intorno al collo.
“La cosa più importante, delle meno importanti”, diceva Arrigo Sacchi sul gioco più bello del mondo. Il calcio è gioia, se rimane spensieratezza; ma può anche essere sofferenza, quando diventa consapevolezza di non poter dare quello che si vuole, almeno sul campo. Le lacrime di Foti si possono comprendere, solo se, come dice lui, “provi cosa significa sentirsi dire che devi smettere di fare la cosa che ami di più, allora hai idea del dolore” Una sofferenza durata quasi tre anni, tra terapie ed un’operazione maledetta che da sollievo si è trasformata nel peggior epilogo possibile. Eppure la carriera di Foti doveva essere quella di un campione. Non ci sono dubbi: è un predestinato, dicevano nei campetti siciliani. L’unico bambino che gioca con quelli di due anni più grandi, “Non per il fisico, ma per le qualità tecniche” racconta Salvatore aGianlucaDiMarzio.com col petto gonfio d’orgoglio: “Giocavo con i classe 86; nell’Acireale ho fatto gli esordienti e poi sono andato via di casa giovanissimo, a Venezia…”
Una donna fantastica, incontrata nella città della sua vita. E poi Lei: la Sampdoria. Lillo si sente la maglia cucita ancora addosso. Un amore nato nel 2005, dopo il fallimento della società arancioneroverde, e tre anni da protagonista: “Bruno Conti chiamava spesso la mia famiglia perché la Roma era una delle società che mi voleva di più, il desiderio però era quello di approdare subito in prima squadra per confrontarsi con un mondo nuovo, così accettai la chiamata di Paratici, e dal Venezia passai alla Samp.” Flachi, Bazzani, là davanti, Novellino in panchina, ed una quindicina di presenze in una squadra tra le più forti del calcio italiano: “L’esordio in Serie A è stato emozionante e quella rete contro il Messina sotto la Gradinata Sud, cuore pulsante del tifo blucerchiato, è stata senza dubbio l’emozione più bella della mia vita. Ricordo ogni minimo particolare di quel gol, il pallone che arriva, il boato dei tifosi, i compagni… In quel momento era impossibile rendersi conto di quello che stavo facendo. Primo gol nei professionisti… in Serie A. Ti rendi conto?”.
Troppo bello per essere vero, e non è un sogno: 192 centimetri di muscoli abbinati a tecnica pregevole, tanto che qualcuno lo paragona a Ibrahimovic: “Non ho mai detto di essere il nuovo Zlatan, ho solo detto che mi piaceva il suo modo di giocare quando era alla Juventus…” Umile e con la testa sulle spalle, Lillo meritava di fare una carriera diversa, ma la vita a volte sa colpire forte. Sfortuna e scelte sbagliate, ma non per colpa sua, perché la maturità per decidere qual è la destinazione per diventare grande non ce l’hai a trent’anni, figuriamoci quando sei appena diventato maggiorenne: “La prima esperienza in prestito è stata a Vicenza con Gregucci, un allenatore che mi ha voluto molto bene. Ho segnato 6 gol da gennaio e solo Marco Di Vaio fece meglio di me. Volevo rimanere a Vicenza, per dare continuità a quello che avevo fatto. Non ho mai avuto la fortuna di fare un’annata intera con una società. Se avessi avuto la giusta maturità, non avrei scelto piazze complicate come Messina e Treviso, due realtà difficili che pochi mesi dopo il mio approdo sono fallite. L’anno della Sampdoria 'formato Champions' sono tornato nella mia Genova con Gigi Del Neri, a metà anno lui voleva tenermi, ma il desiderio di giocare era grande e così sono andato a Piacenza. Esperienza Fantastica, così come quella di Empoli con Aglietti allenatore.”
Tutto perfetto, Lillo cresce e diventa un punto di riferimento per la squadra. Gol e prestazioni non mancano: “Stava andando tutto bene…” abbassa il tono della voce: “ Poi a metà stagione mi spaccai il ginocchio… Ecco, da quel momento è cominciato il mio calvario. Brescia e ancora Sampdoria in Serie B con qualche acciacco fisico. Poi la discesa in Lega Pro con il Lecce. Nelle prime 9 partite avevo segnato 8 reti, ma nel gennaio 2013 cominciai ad accusare i primi significativi dolori alla schiena. Il male si è intensificato e così dopo un esame scoprii di avere un’ernia fiscale:” Terapia conservativa e consulti medici, la squadra salentina volava verso la Serie B, ma falcidiata dagli infortuni nel reparto offensivo si fa rimontare 12 punti dal Trapani e gli chiede un ultimo sforzo per salire di categoria: giocare la finale playoff contro il Carpi: “Mi sono fatto infiltrare per aiutare i miei compagni, ma non potevo immaginare che quella contro i biancorossi sarebbe stata l’ultima della mia vita. Un triste finale per il Lecce perché non salimmo in B, ma soprattutto per me."
Salvatore si svincola: l’obiettivo è curarsi. Ad ottobre si sottopone ad un intervento chirurgico, ma il dolore non scompare. Stringe i denti in un provino col Chiasso, che gli vale un biennale con la squadra svizzera: “Non sono mai più sceso in campo. Speravo che prima o poi questa agonia finisse, ma purtroppo da questo incubo non mi sveglierò mai, mi hanno detto che non completerò mai una seduta senza accusare dolore. Ora vivo a Genova con la mia famiglia, questa città mi ha fatto diventare uomo e calciatore. Smettere di giocare è una sofferenza, ma bisogna avere la forza di reagire e di guardare avanti con ottimismo. Ho preso il patentino per allenare, perché io il profumo dell’erba lo voglio ancora sentire!”
Tommaso Turci (@TommasoTurci)