Darboe ce l’ha fatta, ma la sua vittoria nel calcio è lieve rispetto al percorso che lo ha portato alla Roma. Ebrima ha vinto nella vita. Ha vinto riuscendo a raggiungere la Libia, lì dove il mare è un confine alto e spesso invalicabile, nonostante appaia piatto come un campo di calcio. Ce l’ha fatta raggiungendo la Sicilia dove è stato destinato ad uno Sprar (Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e poi successivamente in una casa famiglia di Rieti.
Lì si è aggrappato al calcio, spinto dalle motivazioni che solo lui poteva avere. Ha iniziato a giocare per lo Young Rieti, squadra dilettantistica laziale. Per molti è svago, per lui molto più di un sogno. Pesava cinquanta chili ed era alto un metro e ottanta. Immagine del risultato di un percorso di vita e di crescita che segna e ti obbliga a cresce prima degli altri.
In quella piccola squadra è stato notato dagli osservatori della Roma. È il destino che restituisce ciò che prima ha privato. È la volontà che sfrutta l’occasione e ci rimane aggrappato cercando di non perdere l’opportunità. L’ha sfruttata Darboe, lottando anche con la burocrazia italiana che gli ha impedito di giocare con i giallorossi fino allo scorso anno. È cresciuto, si è allenato e nel frattempo restituiva alla famiglia rimasta in Gambia quello che riusciva a risparmiare.
Li ringrazia per avergli dato la vita. Lui ci è rimasto attaccato. Ha inseguito il sogno, così come aveva detto il giorno della firma sul primo contratto in giallorosso. Approfitterà delle sfortune altrui. Lui mezz’ala fisica di corsa e quantità. Il coraggio e la grinta non li ha conquistati sul campo, ma in mare. Lì dove è rimasto aggrappato ad un sogno per salvare sé stesso e la sua famiglia.
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