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De Rossi, nostalgia argentina: “Sogno di allenare il Boca”

Una carriera finita alla Bombonera, un futuro da allenatore già delineato. Non solo con la suggestione Fiorentina: in una lunga intervista rilasciata a La Nacion, Daniele De Rossi racconta questi ultimi mesi di transizione e il segno profondo dell'esperienza boquense: "Me ne sono andato solo per la famiglia, perché mia figlia aveva bisogno di me", le parole dell'ex capitano della Roma.


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"Quando il Boca Juniors ha vinto la Primera Division all'ultima giornata, lo scorso marzo, è stata una sensazione molto strana: la felicità per i miei compagni, perché mi sono sentito parte di quel gruppo e ci sentiamo ancora, ma anche la consapevolezza di non aver lasciato il segno. Non sono il tipo che si gonfia il petto per un titolo che i miei compagni hanno ottenuto con le unghie e con i denti". E qui, la rivelazione: "Il giorno in cui firmavo la risoluzione con il club, negli uffici della Bombonera, ho alzato lo sguardo verso la Copa Libertadores lì in vetrina. E mi sono detto: non ho inciso come calciatore, voglio tornarci da allenatore perché questa squadra è nel mio cuore".

In primis, per le amicizie coltivate in spogliatoio. "Ho già detto a Paolo Goltz che lo voglio come mio assistente", De Rossi mette nel mirino il difensore con lui a Buenos Aires per il suo futuro da allenatore. "Ma il mio staff tecnico ce l'ho già", annuncia Daniele. "Anche senza una squadra stiamo lavorando insieme, facciamo riunioni e guardiamo le partite. Non ho fretta, ma mi sento pronto e non vedo l'ora di cominciare. Cerco di prendere qualcosa da ogni guida che ho avuto e di evitare di ricadere nei loro errori: Capello, Luis Enrique, Spalletti. Sono stato fortunato, ma non vuol dire che sarò un buon allenatore. Vedremo se riuscirò a trasmettere quanto hanno trasmesso a me".

Passione albiceleste


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Per quanto riguarda gli esempi in campo, tra i vecchi compagni argentini De Rossi non ha dubbi: "Tevez è formidabile", lo storico numero 16 parte dall'ultimo. "Quando qualcuno mette in dubbio il loro livello, i campioni veri migliorano ancora e zittiscono tutti. Alla nostra età la condizione fisica è fondamentale e una volta tornato in forma ha fatto una seconda parte di stagione formidabile. Ma non mi stupisce, stiamo parlando di lui". Burdisso invece l'anello tra Buenos Aires e Roma: "Anche se in un altro ruolo", con l'ex difensore diventato ds del Boca, "le nostre strade si sono unite anche dall'altra parte del mondo. Mi ha aiutato tantissimo, è un amico. E quando giocava era un martello".

Ma il numero uno, De Rossi l'ha scoperto prima ancora di debuttare in giallorosso. "Batistuta", non ha dubbi lui. "Quando sono entrato nello spogliatoio della Roma ero un ragazzino: lui era già lì e mi ha conquistato. Era diverso dagli altri, con un'altra mentalità che ci ha poratato allo scudetto dopo 20 anni. Mi allenavo con lui e volevo abbracciarlo e baciarlo. Prima ancora, l'unico era stato Diego: sono sempre stato romanista, ma i primi ricordi che ho legati al calcio sono quelli del Napoli di Maradona".

Notti magiche


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Poi sull'avventura in nazionale, alla vigilia del 14esimo anniversario da campione del mondo: "Avevo 22 anni", ricorda De Rossi. "Un'età in cui non ci si rende pienamente conto di cosa significhi il Mondiale, per la tua carriera e per il tuo paese. Vado in Italia e la gente mi saluta, mi dice ancora cosa stava facendo mentre io calciavo il rigore in finale contro la Francia. La gente non lo dimentica".

E Daniele si congeda con un aneddoto di quell'indimenticabile estate in Germania. "Quando l'Italia perse in semifinale nel '90 ero un bambino", ricorda lui, oggi quasi 37 anni. "Ma c'era quella canzone di Gianna Nannini che ci avrebbe seguito per sempre: in ritiro con gli Azzurri nel 2006, la mettavamo ogni giorno. Dopo 16 anni era diventato il nostro inno. E diventammo campioni del mondo".