‘Per un calcio integrato’, la dolce vittoria del Cesena

‘Per il calcio integrato’, il progetto sociale del Cesena F.C. dedicato alla disabilità riceve l’encomio del Ministro dello Sport e de Giovani Andrea Abodi: di cosa si tratta
Non è semplice comprendere che l’essenza della vita risiede nel coglierne valori e situazioni che la descrivono per quello che è: un dono. Avvolto dalla sua unicità. “Ci accorgiamo di quanto siamo fortunati solo quando le difficoltà le tocchiamo con mano, le vediamo e le soffriamo”. Va dritto al punto Massimo Buratti, per molti anni allenatore e direttore tecnico di settori giovanili di molte società calcistiche della sua Romagna, ex presidente dell’Associazione Italiana Allenatori Calcio della Regione Emilia-Romagna e oggi fondatore del progetto ‘Per un calcio integrato’. Programma di inclusione sociale, sostenuto e autofinanziato da Cesena F.C. e Gruppo Amadori, che attraverso l’attività sportiva e l’esercizio fisico intende favorire l’autonomia, l’autostima e la consapevolezza dei giovani con disabilità intellettiva e motoria: down, autistici e ritardi cognitivi. Modello educativo e di integrazione sociale che mischiando calciatori del settore giovanile e ragazzi disabili “rappresenta già un’eccellenza morale per i suoi profondi valori e che proveremo a estendere ad altre realtà”. Come sancito dal Ministro per lo Sport e i Giovani Andrea Abodi, lunedì 17 marzo, in occasione della cerimonia d’encomio nella Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
“È stata una esperienza fantastica – afferma Buratti – il Ministro è rimasto molto colpito: il 16 aprile verrà a Cesena per allenarsi con noi (ride ndr.). La sua intenzione è fare del ‘Calcio integrato’ un esempio da esportare ad altre società calcistiche italiane. Per me è una soddisfazione enorme”. Un orgoglio che nasce da lontano. Che risponde alle delusioni. “Per 25 anni ho vissuto i settori giovanili. Nel 2012 decisi di smettere: ero stanco di dovermi confrontare con genitori sempre insoddisfatti, arrabbiati e convinti di avere ‘figli campioni’. Promisi a me stesso che se avessi ricominciato l’avrei fatto per chi avesse avuto, veramente, bisogno”. Quando il destino siede al tuo fianco. “Nel 2012 un caro amico e collega di Ascoli Piceno mi raccontò di aver inserito nella squadra dei Giovanissimi qualche ragazzo affetto da sindrome di Down. Incuriosito andai a trovarlo per capire come fosse possibile. Rimasi esterrefatto e iniziai a ragionare su come mettere in relazione, in un campo da calcio, ragazzi normodotati e disabili”.
Intraprendenza. La vita riconosce e restituisce: “Mi chiamò un giovane allenatore che avevo formato io per offrirmi un posto da Dt in una nascente società di Savignano. Rifiutai. Ma proposi l’idea di creare una squadra mista in cui giovani calciatori giocassero con ragazzi disabili. Accettarono e quel progetto va avanti da 13 anni”. Una struttura così solida, precisa e sincera che attrae l’attenzione della più importante realtà calcistica della Romagna: il Cesena F.C. “L’allora presidente bianconero Giorgio Lugaresi ci offrì la possibilità di svolgere gli allenamenti allo stadio ‘Dino Manuzzi’. Da quel momento il Cesena ci ha ‘adottato’ e da sette anni ci sostiene in tutto insieme al ‘Gruppo Amadori’”. Patrocinato dal Comune e dal Comitato Paralimpico Regione Emilia-Romagna, ‘Per un calcio integrato’ di Buratti inizia un nuovo viaggio.
“Dopo il fallimento del 2018, il neo direttore generale Daniele Martini mi invitò a formare un nuovo gruppo con ragazzi cesenati portatori di disabilità intellettiva e relazionale”. Nessuna esitazione. Nuovi stimoli, nuove idee e obiettivi. “Mi sono costruito uno staff più ampio che anno dopo anno, fino a oggi con l’appoggio della proprietà americana, è riuscito a strutturare sempre di più il programma: 9 fra istruttori e allenatori laureati in Scienze Motorie, due psicologi, un’esperta di Scienze della Formazione e un’infermiera professionista del Pronto Soccorso dell’ospedale Bufalini di Cesena”.
Il progetto: la disabilità come strumento per “apprezzare la vita”
Tutto per i ‘ragazzi unici’ – come definiscono i protagonisti del progetto sul prato dell’Orogel Stadium. Come i loro sorrisi, la loro gioia di vivere. Libera. Scevera da ogni negatività. Perché no. Non c’è spazio per il ‘brutto’. “Il nostro metodo – spiega Buratti – si fonda sul rapporto diretto. Li guardiamo negli occhi, li studiamo, cerchiamo di apprendere cosa ci stanno chiedendo. Alcuni sono seguiti personalmente. Io stesso, durante gli allenamenti, se noto reticenze alla partecipazione, a buttarsi o se vedo timore reverenziale nei confronti dei normodotati o di altro mi appiccico per stimolarli. Non li mollo un attimo”. Coglie le difficoltà, anche quelle impercettibili. “Un allenamento sotto la pioggia per un ragazzo autistico è come una montagna da scalare. Ed è lì che noi dobbiamo dare tutto. Solo così possiamo sviluppare un percorso che sia, realmente, in grado di costruire in quei ragazzi autostima, autonomia e consapevolezza morale, relazionale e fisica”.
Un progetto dalle molteplici letture: “Altro grande traguardo è dimostrare ai ragazzi normodotati che la disabilità non è un ostacolo, ma uno strumento per imparare ad apprezzare la vita”. L’unicità del programma ‘Per un calcio integrato’: l’intuito e il coraggio di affiancare alla normalità quello che appare “diverso”. Due allenamenti a settimana nel centro sportivo di Martorano insieme ai ragazzi del vivaio bianconero per coinvolgerli nella crescita dei ‘ragazzi unici’. Con lo scopo di promuovere, in maniera concreta, lo sviluppo della loro socializzazione fondandosi sui valori più alti, belli, spontanei e forti che trasmette lo sport. Capaci di “abbattere molti muri”. Costruiti, forse, coi mattoni della paura e dell’indifferenza: “Non obblighiamo nessuno a partecipare. I ragazzi del vivaio sono liberi di scegliere. Quello che posso affermare con cognizione è che, come nei ragazzi disabili anche nei normodotati che si allenano con noi notiamo molti cambiamenti”. Imparare: “Prendiamo tutte le età, dai Pulcini alla Primavera fino alla Prima Squadra perché non è mai né troppo presto né troppo tardi per comprendere quanto si è stati fortunati”.

Calcio, cambiamenti ed emozioni
La commozione di Buratti trascina. Ma il racconto freme. “A causa di una lunga squalifica un giocatore dell’Under 15 è stato ‘punito’ dalla società con l’obbligo di partecipare alle nostre sedute. Non potendo giocare ha trascorso molto tempo con noi. Scontata la squalifica avrebbe potuto smettere senza alcun impedimento”. Piano. Fatica ancora a realizzare. “Invece, viene da me e mi chiede di continuare e di venire anche nella squadra di Savignano. Ecco, quando succede così io ho raggiunto il mio scopo”. Una confessione dolce; sincera. “Mi emozionano quasi di più i cambiamenti e i gesti che i ‘ragazzi unici’ sono in grado di portare ai normodotati: è la nostra ‘Champions‘”. La forza di una passione. “Il calcio è prima di tutto uno sport di squadra. E questo facilita la stimolazione delle relazioni”. Trasformando il banale in importante: “La palla è un oggetto sferico. Sin da neonati quella forma è fonte di attrazione. Mette nella condizione di proporsi, stimola. Accende i sensi”. Il segreto? La semplicità. “Attraverso il gioco e la condivisione delle regole i ‘ragazzi unici’ percepiscono degli input che fanno scattare un meccanismo interno che li porta ad assimilare ciò che vedono e sentono. Diventando, così, mezzi utili per provare azioni di cui avrebbero paura. E piano piano coltivano il desiderio di migliorare”. Senza fretta: “Il nostro è un progetto in cui tutto è rallentato”.
La forza dei calciatori disabili bianconeri? La luce sempre accesa che li protegge. “Descrivere cosa provino le famiglie di questi giovani è quasi impossibile. Quello che ho intuito in questi anni di lavoro è che qualsiasi aspetto che induca miglioramenti nei loro figli ha un valore inestimabile”. Ci siamo quasi. Buratti sembra aver dato tutto. “Durante la consegna da parte del Ministro Abodi degli attestati ai ragazzi ho voluto osservare con attenzione i genitori presenti”. Esitazione. Sospiro. Sorriso. “Nei loro occhi vedevo la gioia di vivere. Gli abbracci ai figli, le strette di mano con staff e fra di loro: quell’emozione, quei momenti, quei sorrisi erano la ricompensa migliore per rendere onore alle loro fatiche, al loro inimitabile amore e alla loro forza”. Missione raggiunta? “In quegli istanti i muri dei pregiudizi crollano: vince la vita. E nel nostro piccolo, anche noi”.

L’immedesimazione di Di Taranto: “Questi sono ‘i miei ragazzi’”
Dai ricordi e dalle emozioni di chi il programma lo pensa, lo costruisce e lo attua a chi con perseveranza, fiducia e investimenti lo restituisce a una comunità e lo induce a divenire modello di un movimento nazionale. Il Cesena F.C. in sette anni innesta una struttura solida al progetto ‘Per un calcio integrato’. La spinta decisiva arriva da uno stupito direttore generale Corrado Di Taranto. “Appena arrivato ho cercato subito di informarmi. Colta l’importanza e la grandezza del messaggio che custodiva ho deciso di portarlo avanti in maniera importante”. Profondamente coinvolto. Immedesimato. “Questi ragazzi nutrono un fortissimo desiderio di sentirsi come gli altri perché non hanno nulla di diverso: sono i ‘miei ragazzi’”. Convinzione: “L’indice della forza del progetto, è la sempre crescente voglia di partecipare dei normodotati”. Il ‘bello’ nascosto: “Alla fine del processo ricevono più i giocatori del vivaio dai ‘miei ragazzi’ perché trasmettono una forza che noi non avremo mai”.
Roma, il Ministero, Cesena e un orgoglio degno delle più gratificanti delle vittorie: “Il riconoscimento ministeriale è stata un’emozione senza paragoni. Una psicologa ha spiegato al Ministro Abodi come questo piano di allenamento abbia permesso ai ‘ragazzi unici’ di passare degli ostacoli insormontabili. Tutto ciò che noi otteniamo di positivo per le vite di questi atleti è un motivo in più per continuare”. Difficoltà, paure, timori. Persino della banalità: “Due ragazzi non hanno dormito per due giorni perché sapevano di dover affrontare un viaggio per loro lunghissimo per raggiungere Roma. La cerimonia li ha resi partecipi, li ha fatti sentire importanti. E più loro conoscono queste sensazioni più crescono. Più diventano consapevoli e disegnano la loro personalità”.

Da Cesena all’Italia: un modello di calcio (integrato) da esportare
Testa alta, determinazione e perseveranza. ‘Per un calcio integrato’ secondo Di Taranto: “Puntiamo a far crescere questo programma. Con cautela. Per questi ragazzi anche tirare un rigore sotto la Curva Mare, come hanno già fatto durante l’intervallo di Cesena-Mantova, è uno scoglio enorme: si preparano una settimana. Il prossimo step è regalargli la gioia di entrare in campo con la Prima Squadra”. Il Cesena che solca il prato dell’Orogel Stadium. Il suo carisma. La sua passione. Il gruppo. Sì, è lo stesso che “quando ne ha la possibilità, forte della grande sensibilità anche dell’allenatore Mignani, si unisce agli allenamenti dei ‘ragazzi unici’”.
Una macchina armoniosa: “Questo è uno stimolo ulteriore per me, per la società, per l’Amministrazione Comunale a spingere sempre di più l’acceleratore”. La strategia per farlo è chiara: “Con l’appoggio del Ministro proveremo ad esportare il nostro modello. Servirà creare un circuito unico con la Lega Calcio che permetta a questi ragazzi di confrontarsi con realtà simili per regalargli maggiori relazioni e socialità. Per dimostrare quanto famiglie e settori giovanili possono ricevere dai ‘ragazzi unici’. L’integrazione vera consiste nel sentirsi parte di qualcosa”. Chissà, forse, quel ‘Romagna Capitale’ che risuona con dolce frequenza nel teatro dell’Orogel Stadium diventerà per la prima volta realtà. Un’ UNICA volta.