Una meta cercata: Cesena, dove Klinsmann è solo Jonathan

Da attaccante a portiere, il Bayern, Neuer e il golf: la storia del portiere della squadra di Michele Mignani
Se c’è un fattore determinante nella crescita e nello sviluppo di una persona è la fortuna di confrontarsi con culture e tradizioni diverse. Avendo la capacità di apprenderle, mescolarle e adeguarle alle proprie attitudini ed esigenze. Per alimentare il sano sentimento di determinazione che accende gli animi di chi ha degli obiettivi. E sentirsi sé stessi.
E se quell’ardore nasce lì dove i sentimenti sono fattore essenziale il suo vigore non può che mantenersi. È lo spaccato decisivo dell’infanzia di Jonathan Klinsmann, portiere americano del Cesena, che dalla più bella delle ammirazioni, quelle per papà Jurgen, ex attaccante tedesco, ascoltando i suoi racconti non perde mai una partita dell’Inter e della Sampdoria.
Lui, tedesco da parte di padre, cinese da parte di madre. Trasferito poco più che adolescente negli Stati Uniti, coltiva, match dopo match dei club nostrani, il desiderio di “far parte di quel mondo” – come dichiara a La Repubblica. Quel mondo è il calcio italiano. Quello che accoglie, conosce e apprezza Jurgen proprio tra Milano e Genova. Quello che porta la soddisfazione ineguagliabile di poter vantare un padre campione del Mondo. Quello di cui oggi: “Faccio parte e di cui avevo bisogno”.
Una voglia di conoscere, sapere, scoprire e mettersi alla prova con nuove esperienze costante quella che contraddistingue il numero uno dei romagnoli. Fin da giovanissimo quando i dubbi del momento iniziano a farsi spazio tra l’ambizione di seguire le orme paterne e l’idea di sentirsi solo Jonathan. Prima che Klinsmann. “Mio padre? Non ho mai subito pressioni: è sempre stato un supporto” – sempre a La Repubblica. Nessuna difficoltà, dunque, per il classe 1997. No, l’allenatore del Grunwald, prima scuola calcio del ragazzo a Monaco, sbaglia. Jon non può fare l’attaccante. Quel Klinsmann è già stato consegnato alla storia.
Tra scuola e…Bayern Monaco: come nasce un Klinsmann portiere
La svolta non arriva sul campo, ma a scuola. Interminabili partite nel cortile insieme ad amici e compagni di classe. Nulla di strano: in porta non ci vuole stare nessuno. L’adrenalina dell’esultanza per un gol affascina sempre: in qualsiasi contesto. Per il giovane Jon la prospettiva è un’altra. Lui fermo su quella linea in fondo al campo sta bene. È a suo agio. E così, tra un’ora sui banchi a sfogliare libri di storia dell’arte e i preziosi intervalli si convince che, in fondo, anche evitarli, i gol, può essere una bella soddisfazione. Dubbi? Riguardate l’ultimo match tra Cesena e Salernitana: spariranno.
Il viaggio di Klinsmann junior inizia lì dove sensazioni e memorie sono scolpite. In quel Bayern Monaco che per papà Jurgen è capitolo centrale di due racconti omologhi. Prima giocatore e poi allenatore. Nel settore giovanile dei bavaresi affina il feeling con il ruolo. E la strategia è semplice: osservare, studiare, ascoltare e subire Manuel Neuer. Idolo, certo, ma prima di tutto esempio. In tutto e per tutto.

Università, golf e cultura americana
Gli ultimi anni di carriera Jurgen li trascorre negli Usa, agli Oc Blue Star. Nel 2009 lo raggiunge anche Jonathan. La California avrà un’influenza fortissima sul futuro del ragazzo. Dentro le mura di casa: dove non si parla tedesco, ma inglese. Fuori perché appassionarsi agli splendidi green che circondano la sua Newport Beach non sarà difficile. E così il golf diventerà il suo modo per isolarsi e stare con sé stesso. Poi saranno educazione e formazione americana a giocare un ruolo di prim’ordine. Prima al liceo, poi all’University of California e, infine, forte della sua convinzione che a scegliere debba essere lui la Barkley University. Facoltà di architettura – come passato prevede – e portiere titolare delle squadre del college: prima i Pateadores F.C., poi l’Irvine Strikers F.C. Tra un disegno e l’altro la sua struttura prende forma. E così, basterà il riconoscimento del Guanto d’Oro come miglior portiere del campionato Concaf Under 20 per mettere la firma sulla bozza di quello che, forse, ancora in maniera inconsapevole, sarà il progetto più gratificante.
Un legame così stretto quello con la cultura americana che lo porterà a declinare la convocazione delle nazionali giovanili tedesche per accettare l’invito di quelle statunitensi. Storia, tradizione e sentimenti. Il destino li mescola. E così l’esordio in maglia a stelle e strisce lo vedrà confrontarsi proprio con i pari età della Germania.
L’idea di mollare, l’importanza di Jurgen e Cesena: come essere sé stessi
Accoglie e assorbe tutto della cultura americana. Forse fin troppo quando, per qualche “peccato di gioventù” – dirà lui stesso – sopito in maniera netta da papà Jurgen, quell’ardore originario inizia ad affievolirsi. Il calcio non basta. Jonathan ci pensa. L’idea è quella di smettere. Ma lo sport è parte integrante della sua persona. In America le opzioni sono ben delineate. La reattività c’è, l’esplosione verso l’alto anche, i centimetri (195) pure: la scelta ricade sul basket. Chissà, forse saranno state ancora le partite dell’Inter o della Samp, fatto sta che Jurgen, senza infierire, riporta il figlio sui suoi passi. Come back Jon! Dal sogno del parquet più prestigioso del mondo alla realtà dell’illustre prato degli stadi della Bundesliga e dell’Europa. Due anni all’Herta Berlino; l’esordio in Europa League parando un penalty all’Ostersunds e l’ineguagliabile istante di ritrovarsi contro il mito Neuer. Uno scambio di maglia a suggellare l’istantanea di un Jonathan tornato bimbo.
Il suo vagare lo porta nella piccola realtà di Cesena. Dove essere protagonista in campo non è difficile. Il mare e le spiagge non sono quelle californiane, ma come ammette lui stesso: “It’s ok”. E anche il golf nei giorni di sosta o dopo gli allenamenti è garantito. Anche, se in fondo, il green più intimo, oggi, è quello dell’Orogel Stadium. Dove, sì, tutti vogliono che sia solo Jon.