La famiglia, i tatuaggi e il Benevento. Viola: “Ora voglio la Serie A”
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Data: 07/12/2019 -

La famiglia, i tatuaggi e il Benevento. Viola: “Ora voglio la Serie A”

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Il centrocampista si è raccontato per gianlucadimarzio.com
Il centrocampista si è raccontato per gianlucadimarzio.com

Nato a Oppido Mamertina, un paesino calabrese di 5.200 anime, ma trasferitosi da neonato a Taurianova. Per tutti Nicolas, nella città dell’arte, era semplicemente “il fenomeno”. Ribelle ma timido. Umile e ambizioso. Gli infiniti tatuaggi descrivono silenzi e fragilità. Dai Pink Floyd a Freud. Da De Coubertin a una tigre: “Sul mio corpo  è tatuata la mia vita”. Ama la musica rock e legge Bukowski. Il classico esempio di come l’apparenza può ingannare per davvero. Fiato corto e occhi lucidi. Inizia così il suo racconto per gianlucadimarzio.com: “Dove sono nato c’era poco. La mia famiglia e un pallone. Era tutto quello che avevo. Il calcio è stata la mia salvezza”. Una cicatrice sul sopracciglio destro l’ha segnato per la vita: “Avevo 4 anni. Giocavo a calcio per strada ed ebbi un incidente. Un segno indelebile”. Su quella cicatrice ora c’è un tatuaggio: “C’è scritto non cercato. Come un segno del destino”. A 14 anni Viola passa alla Reggina: “I miei non potevano accompagnarmi e non avevo la possibilità di trasferirmi. Ricordo che ogni giorno prendevo il pullman, mangiavo un panino e mi allenavo. Tornavo a casa da solo la sera tardi. Spesso ho avuto paura”.

LA REGGINA, LA SUA SECONDA CASA

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Viola e la Reggina, la più classica storia d’amore. Forte. Intensa. Una favola senza lieto fine: “A Reggio Calabria sono diventato uomo e calciatore”. La prima convocazione in Serie A da parte di Mazzarri: “Mi portò in panchina a Rimini con la prima squadra. Avevo 17 anni. Mi disse che avevano fatto molte vittorie di fila e mi raccomandò di non spezzare quell’incantesimo”. Gli anni in amaranto, vissuti sulle montagne russe: “Ho un ricordo positivo di Pillon. Mi ha fatto esordire in Serie A contro la Lazio. Avevo 19 anni e mi ritenevo maturo. Ricordo anche con piacere Atzori. Mi ha fatto sentire importante”. Poi si passa ai ricordi più brutti: “La società voleva che rinnovassi il contratto ma non c’era alcun motivo. Stavo bene con la Reggina e non ero in scadenza”. Viola non rinnova e da giocatore imprescindibile diventa un peso: “Era arrivato il momento di andare via”.

Nicolas vuole la Serie A. Il Palermo è l’occasione giusta: “Volevo cambiare aria. Durante un allenamento Foti entra in campo e mi passa una persona al telefono. Era Zamparini che mi comunicava di avermi acquistato”. Dalla Calabria alla Sicilia. Non tutto però andò per il verso giusto: “Confusione. E’ l’unica parola che mi viene in mente. Cambiammo 5 allenatori, non sapevi mai cosa aspettarti”. La stagione termina con una retrocessione. A fine anno arriva la Ternana, ma:  “Non ero soddisfatto di me stesso e della mia carriera. L’insoddisfazione non ti fa essere felice”. 

BENEVENTO, UNA SECONDA GIOVINEZZA

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L’uomo della provvidenza è Marco Baroni. Prima lo porta a Novara: “Grazie a lui ho ricominciato a esprimermi ad alti livelli”. Poi gli consegna il centrocampo del Benevento. E’ il 30 gennaio 2017, Viola è a casa. Il telefono squilla: “Era Baroni. Mi disse che aveva bisogno di un calciatore come me”. A convincerlo definitivamente fu Oreste Vigorito: “Mi telefonò il giorno successivo, non c’era molto tempo. Mi disse che voleva la Serie A. Io gli promisi che l’avremmo raggiunta”. Detto, fatto. Come in un film. Viola e il Benevento, un vero colpo di fulmine: “Rimasi impressionato dalla città, dalle persone e dalla qualità della squadra”. Poi aggiunge: “Avevamo fame. Eravamo guidati perfettamente da Baroni e volevamo fare qualcosa di storico”. Con il Frosinone la partita della svolta: “Ricordo che l’allenatore ci disse che se avessimo vinto quella partita ci avrebbe portato in Serie A”. Così è stato. 

Eppure l’impatto con la massima serie fu disastroso: “Cambiammo tanto. Troppo. La Serie A è una categoria a parte”. A metà stagione l’incontro con De Zerbi: “Ha cambiato tutto. E’ stato fondamentale. Mi ha dato una consapevolezza diversa di me stesso”. Poi continua: “I suoi allenamenti non sono semplici. Devi essere costantemente concentrato. Un aneddoto? Mi ripeteva sempre che ero forte e dovevo solo convincermene”. Cos’ha di diverso? "Nella gestione della palla diventavi padrone del gioco. Avevi sempre soluzioni diverse che altri non vedevano. Il suo è il calcio del futuro. E’ pronto per una panchina importante”.

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Il Benevento retrocede e Viola vuole restare in Serie A: “C’erano tutti i presupposti per andare via”. Ma: “Se sono ancora qui è merito del presidente. Per me lui è come un secondo padre. Mi chiamò dicendomi che era a conoscenza del mio desiderio, ma che Benevento ormai era casa mia e che in Serie A ci saremmo tornati insieme”. Alla fine a prevalere è il cuore. Viola resta in giallorosso, anche grazie al lavoro di Pasquale Foggia: “Ci conosciamo da tempo. Io ero un bambino e lui giocava con la prima squadra a Reggio. Spesso è capitato che venisse alla stazione per non farmi prendere il pullman”. Poi aggiunge: “E’ stato l’intermediario perfetto tra me e il presidente. E’ un uomo ambizioso, che sta costruendo un grande futuro per il Benevento”. L’obiettivo Serie A, però, non è stato raggiunto al primo colpo: “E’ stato un anno particolare. Contro il Cittadella, nei playoff, sono venuti fuori tutti insieme i limiti che avevamo palesato durante la stagione”.

Il Benevento riparte, all’assalto della massima serie. In panchina Pippo Inzaghi: “Mi ha chiamato quest’estate mentre ero in vacanza. Mi ha fatto sentire subito importante”. Poi svela: “Io sono sempre stato tifoso del Milan, esultavo per i suoi gol. Per me lui era l’attaccante più forte del mondo”. Al momento i giallorossi sono in vetta alla classifica di Serie B, momentaneamente a +12 dal terzo posto con una partita in più, grazie al successo contro il Trapani. Protagonista? Nicola Viola. Autore di una tripletta, la prima della sua carriera. La seconda delle tre reti quasi da centrocampo. Applausi a scena aperta, per lui e per tutto la squadra. Merito del gruppo e dell’allenatore: “Inzaghi ci fa lavorare sempre al massimo. Ci ha trasmesso una fame e una rabbia incredibile. Entra nella testa dei calciatori e sentiamo costantemente la sua energia. Cosa mi ha colpito? La sua voglia di lavorare e di vincere. E’ un martello. Pensare a cosa ha vinto in carriera e vederlo lavorare con questa ferocia è sorprendente”. Il ritorno in  serie A è l’obiettivo di tutti: “In spogliatoio c’è tanta voglia. Siamo arrabbiati. Ambiziosi. Inzaghi prepara ogni match come una finale. Vorremmo vincerle tutte”. 

Infine un sogno personale: “Mi sento un calciatore forte e voglio confermarmi con la maglia del Benevento. Questa città mi ha adottato. Quando torneremo in Serie A, lo faremo per restarci”. Leader gentile e silenzioso. Innamorato di una città che sogna di rivivere gioie neanche troppo lontane.

Foto: Mario Taddeo e Benevento Calcio.

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