Lo incontriamo nella sua Firenze, poco fuori la stazione di Santa Maria Novella, puntualissimo: “il rispetto e l’educazione sono alla base di tutto” come gli hanno insegnato i genitori. Pochi passi e ci accomodiamo al bar all’angolo, così inizia il racconto in esclusiva per gianlucadimarzio.com di Marco Baroni. Un uomo che vive di “sogni”: “I sogni sono tutto, sono la scintilla che un uomo deve portare dentro di sé, perché le sfide più belle sono quelle che rendono i sogni realtà”. Pacato, spesso silenzioso, ma questa, per l’allenatore, è solo una personale strategia: “Il nostro mondo è un mondo di urlatori. Ascoltare è una strategia, se ascolto so cosa pensa il mio interlocutore e capisco chi ho di fronte. Il tono della voce è una componente importante che va usata per rafforzare un concetto nello spogliatoio. Da allenatore non mi piace entrare sbattendo la porta, preferisco capire. Osservare spesso può essere sinonimo di timidezza o poca personalità ma secondo me è il contrario".
Il pallone per Marco Baroni, è sempre stato il “suo” sogno e la sua felicità: “ Dico sempre che mia madre mi ha partorito con il pallone, a me bastava quello per essere felice. La famiglia – da calciatore prima e allenatore poi - è la tua isola, il tuo riparo da tutto. Un calciatore non deve perdere mai i suoi veri valori e le sue origini. Prima di dedicarsi completamente alla carriera di allenatore, gli piaceva solcare il mare con gli amici ma anche da solo, perché il mare e lo spogliatoio in fondo sono legate tra loro: “in mare, al timone hai la percezione che ci possono essere variabili improvvise e bisogna prendere decisioni così come quando alleni, ci sono dei momenti dove bisogna provare a prendere la giusta rotta, in mare come durante una stagione”
Un ragazzo, Marco Baroni cresciuto nella Fiorentina: “Sarò sempre riconoscente alla Fiorentina perché lì sono cresciuto e diventato uomo, ho avuto la fortuna di esordire in A con la squadra di Picchio De Sisti che arrivò seconda”. Una sola però la presenza con la viola,e saluto agrodolce: “Dopo aver fatto tutto il settore giovanile la società fece altre scelte, ma come è sempre accaduto nella mia carriera dalle cose negative ho sempre tratto le cose positive”. Anni dopo, infatti, il Lecce fu i il nuovo trampolino di lancio della sua carriera sotto la sapiente guida di Carlo Mazzone: “Dalla Roma, mi sono ritrovato in serie B con il Lecce, non è stato facile. Mazzone? “E’ un allenatore pazzesco, tirava fuori il meglio da ogni calciatore” – poi ci racconta – “ricordo che in uno Juventus Lecce si è preso quindici giorni di squalifica per ingiurie ad un proprio giocatore, e quel giocatore ero io”.
Poi il passaggio al Napoli, la parte operaia di una squadra di campioni: “Mi chiesero prima di una partita cosa ci facevo in quel Napoli, ed io risposi che ero la parte operaia – eppure – Napoli mi ha apprezzato perché io davo tutto, i miei limiti diventavano la mia forza”. Quello scudetto, il secondo, arrivato grazie al suo goal: “Prima della partita c’era molta tensione, poi con il mio stacco di testa, è arrivato lo scudetto. Ricordo il boato del San Paolo sul mio goal, vincere uno scudetto a Napoli è qualcosa che rimane indelebile”. Mister e se le dico Cabezon? “L’unico che mi chiamava così era Maradona, perché di testa sapevo colpire bene la palla. Aver giocato accanto a lui è stata un’esperienza straordinaria: la prima settimana dal suo arrivo non riuscivo ad allenarmi bene perché continuavo ad osservare i suoi movimenti in campo”.
Poi una caduta per ragioni contrattuali nei dilettanti “Vedere il calcio da un’altra prospettiva è stato un passaggio importante prima di diventare allenatore”, e una nuova risalita in serie A con allenatore Attilio Perotti: “E’ stato molto importante per me”. Infine una scelta già presa: “negli ultimi anni di carriera mi sentivo già un allenatore”.
La Juventus, non solo una squadra, ma un vero corso di formazione: “ Mi sarebbe piaciuto arrivarci prima, La Juventus è stata fondamentale per la mia crescita di allenatore, devo ringraziare Marotta, Paratici e Giovanni Rossi. I ragazzi ti insegnano tanto e tu puoi trasferire tanto a loro su come diventare calciatori”. L’amico Conte? “Un’allenatore veramente straordinario. Ha capito subito cosa serviva a quella Juventus per tornare a vincere.”
Da quel momento, Marco Baroni, diventa un cavallo di razza partendo da Lanciano:“Ho impattato bene in serie B. Abbiamo fatto qualcosa di molto bello, siamo stati in testa alla classifica, ci siamo battuti a viso aperto con tutti, non siamo entrati nei playoff per un punto, li avremmo meritati, ma il calcio a volte ti da qualcosa a volte te lo toglie”. Poi ricorda: “A Lanciano, avevo l’obbligo di far giocare tanti giovani, fu una bella missione”. Poi il passaggio a Pescara:” L’obiettivo era fare un campionato d’assestamento. Credevo che saremmo potuti arrivare ai playoff, anzi, ero convinto di riuscirci e poi di poterci giocare la Serie A, purtroppo c’è stato quell’avvicendamento. E se ci fosse stato Maniero? Ricordo che voleva andare via a inizio stagione, gli dissi di restare e che avrebbe fatto 10 goal fino a Gennaio, ne fece 13. Poi la società volle cederlo, in quel momento era il nostro capitano”. Novara, la stagione della sua maturità: “Facemmo un campionato importante. Quel Pescara che ci eliminò in semifinale l’avevamo battuto due volte. In casa venne il diluvio universale e non siamo riusciti a sfruttare al meglio le nostre qualità. Se potessi scegliere di rigiocare una partita sceglierei quella”.
E’ diventato l’uomo della storia nella città delle streghe, ma la firma con il club Sannita si fece attendere: “Ho aspettato ventiquattro ore, anche se il presidente voleva una decisione immediata. Volevo capire, osservare. La mia non era una titubanza, quando ho firmato a Benevento ero convinto di poter fare bene, non sarei mai andato solo per salvare la squadra”. Infatti Baroni ci racconta un retroscena: “Ero stato chiamato per una salvezza e dal primo giorno ho voluto inserire il premio anche per la promozione in Serie A, il presidente mi guardò sbalordito”. Il concetto di squadra quell’anno andò oltre il significato freddo della parola stessa: “Sentivo la squadra sulla mia pelle. All’interno di quel gruppo c’era la voglia di vincere, volevamo fare qualcosa di importante. Pensavo da subito che quella squadra potesse centrare come minimo i playoff”.
Ceravolo raccontò che Baroni disse 'portatemi ai playoff ed io vi porto in serie A'. “Vero! Successe prima della partita con il Frosinone. Avevamo tante assenze, era una partita fondamentale, per fortuna alla fine ebbi ragione”. Playoff che Marco Baroni ha vissuto con serenità: “Una volta ai playoff nessuno poteva toglierci la Serie A, ne ero convinto. Cosa ho fatto dopo la finale? “Dopo i festeggiamenti con la squadra allo stadio, ho portato a cena il mio staff per festeggiare. Abbiamo mangiato una cosa veloce e sono andato a letto”, chi l’avrebbe mai detto per l’uomo che ha scritto per sempre il suo nome nella storia giallorossa. Un legame, quello con lo stadio Ciro Vigorito indissolubile: “Ricordo il primo allenamento a Luglio, pensai - voglio vedere questo stadio pieno - è un altro sogno che poi ho realizzato. Ho due immagini che rimangono nella mia testa. Uno è il boato sul goal di Ceravolo contro il Frosinone, quella palla l’ha spinta dentro lo stadio. Poi il fischio finale che ci ha portato in Serie A.
Quella Serie A che ha fatto da ponte tra il sogno e l’incubo, ma neanche qui Marco si scompone: “E’ successo quello che succede a tutte le squadre neopromosse e lo dicono i dati. L’impatto dalla B alla A è devastante. Noi nelle prime tre partite avevamo più o meno gli stessi tiri in porta della Juventus, purtroppo avere zero punti pur producendo tanto ci ha condizionato. Tanti infortuni, tante situazioni si sono sommate poi è stato difficile. Sono andato via con le ultime sette squadre della classifica racchiuse in sei punti, non eravamo gli unici ad aver avuto difficoltà iniziali, e non avevamo avuto un calendario facile. Ero convinto di salvare il Benevento altrimenti mi sarei dimesso, però nel calcio quando scrivi una pagina di storia nessuno può togliertela. Vigorito? “Ho avuto un ottimo rapporto con Vigorito sia come presidente che come uomo”.
Quell’anno in serie B oltre al Benevento venne promossa la Spal, del suo amico Leonardo Semplici, i due abitavano a Tavernuzze a pochi metri di distanza, e Baroni torna in mente il suo passato: “Ricordo che i miei genitori lavoravano a Firenze ed io appena tornato a casa andavo sempre in giardino a vedere se c’era un posto per giocare insieme. Ora Faccio il tifo per lui”.
Adesso Marco, gurda suo figlio Riccardo con orgoglio: “Sta vivendo il suo sogno. Lo fa con grande umiltà e sacrificio, e non ha paura delle sfide, questo è fondamentale per un calciatore. Si limita a consigliarlo da padre, eppure sulla scelta della scorsa stagione c’è il suo zampino: “Credevo che Lucca fosse la piazza giusta per crescere, un giovane dopo il Settore Giovanile ha bisogno di giocare. Mi ha sorpreso, perché ha fatto prestazioni importanti, guardandolo ho capito che può fare molto bene. Gli auguro di vivere il suo sogno e di raggiungere tutti i suoi desideri”.
Riccardo che adesso sta vivendo una situazione surreale con l’Entella: “Credo sia molto difficile per una squadra attualmente calarsi in uno dei due campionati con così tante gare da recuperare. Non tanto per i recuperi, ma per le tre partite settimanali che sono veramente complicate da gestire sia a livello fisico che psicologico. Sono molto curioso”. Poi sulla B a 19 squadre dice: “Dall’anno prossimo la B sarà comunque a 16-18-20-22 squadre, ma non a 19. Io credo sarebbe dovuta essere a 22 squadre”. Non è un Serie B che gli piace quella che sta vedendo: “Si bada molto più a distruggere il gioco degli altri che a sviluppare il proprio, questo a me non piace”. Le favorite: “Benevento, Verona, Palermo e Crotone sebbene adesso sia un pò attardato, ma occhio al Cittadella”.
Baroni adesso è in attesa, e prima di salutarci ci dice: “Non so dove mi porterà il futuro, l’attesa è lunga ma non temo nessuna sfida. Il campo mi manca come l’aria”.
Baroni si alza, saluta tutti al bar affettuosamente e ci accompagna alla stazione, con la sua solita semplicità. Poi ricomincia l’attesa del prossimo sogno, che per Marco Baroni sarà solo un’altra occasione da trasformare in realtà.
A cura di Francesco Falzarano