“Saremo una squadra di diavoli. Rossi come il fuoco e neri come la paura che incuteremo agli avversari”. Ne sono passati di anni dalla celebre frase di Herbert Kilpin, cofondatore e primo allenatore del Milan. Da quel 16 dicembre 1899 ne sono trascorsi 120, fatti di gioie, dolori, ma soprattutto di successi e momenti di gloria. Terzo club al mondo più titolato in ambito internazionale con 18 trofei, tra cui 7 Champions League e 5 Supercoppe Europee. Seconda squadra più vittoriosa in Italia con 30 trofei nazionali, di cui 18 scudetti, 5 Coppe Italia e 7 Supercoppe italiane. Il Milan non ha certo bisogno di presentazioni, è il suo palmarès a parlare. Un club che ha segnato varie epoche, facendo innamorare di sé numerosi appassionati di calcio da tutto il mondo. Ma cosa vuol dire, davvero, indossare la maglia del Milan? Non è certo facile, ma nel tempo tanti protagonisti rossoneri – e non – hanno provato a spiegarlo.
“Al Milan mi sentivo invincibile. Già quando passavo nel tunnel avevo la sensazione che avremmo vinto”. Con queste parole di Ruud Gullit, riprese da alaNews, si può in parte capire cosa significhi essere stato un giocatore rossonero. Quel Milan, in effetti, faceva paura un po’ a tutti. 17 trofei conquistati tra il 1988 e il 1996, tra cui 5 scudetti e 3 Champions League. Di quest’ultime, quella vinta nell’’89 rappresenta forse l’apice dello strapotere calcistico. Netto 4-0 alla Steaua Bucarest in finale, dopo il quale l’Equipe titolerà così: “Prima c’era il gioco del calcio, poi è arrivato il Milan. Da quel momento, tutto è cambiato”. Descrivere il club rossonero come ‘rivoluzionario’ sarebbe troppo poco.
La finale di Barcellona contro la Steaua, per un motivo in particolare, la ricorda bene anche un certo Marco Van Basten: “Quella notte è uno dei miei ricordi più emozionanti. Non tanto per la marcia trionfale della partita, quanto per l’accoglienza dei nostri tifosi nell’entrare allo stadio. Sembrava che tutta Milano ci avesse seguito fino a lì”.
A confermare il tutto ci ha pensato anche Adriano Galliani ai microfoni di Sky Sport: “Non era mai accaduto, e non è più successo, che ci fosse uno stadio con i tifosi di un’unica squadra. Il Camp Nou era tutto rossonero”. Un legame indissolubile tra club e tifoseria.
Un qualcosa di importante che Silvio Berlusconi, presidente più vincente della storia del Milan, aveva a suo modo previsto: "Andavo allo stadio con mio papà e avevo il Milan nel cuore. I suoi calciatori erano un esempio come combattività, impegno e costanza. Quando vidi che il club andava male decisi di intervenire, e così cominciò una storia meravigliosa. Nessuno credeva ai traguardi che ci eravamo prefissati, ma ora sono contento e orgoglioso di ciò che ha fatto quella squadra. In Italia e nel mondo c'è ancora gente che mi ringrazia" ha affermato l'ex patron a Milan TV proprio in occasione di questo anniversario rossonero.
Una squadra vincente anche in epoca recente, della quale uno dei protagonisti più rappresentativi è sicuramente Andriy Shevchenko: "Quando arrivai, il Milan era stato un grande team anche in passato con Sacchi, Capello o Nereo Rocco. Da bambino ero un tifoso rossonero, dopo la Dinamo Kiev seguivo il Milan e ne vedevo le partite alla TV. Adoravo questo club e volevo venirci a giocare. Il Milan è straordinario, ha segnato molte epoche e la storia non si può dimenticare. A dimostrarlo sono anche i tifosi, sempre presenti anche quando le cose vanno meno bene" le parole del Pallone d'Oro 2004 a La Gazzetta dello Sport per i 120 anni del Milan.
D'altronde, se dieci anni fa uno come Sir Alex Ferguson ha definito il Milan "la migliore squadra del calcio moderno", un motivo ci sarà.
Dell’ultimo Milan campione d’Italia, poi, la figura di spicco si chiama Zlatan Ibrahimovic. Lo svedese, tornato di moda in queste settimane in ottica mercato rossonero, nel 2016 ha parlato così sulle pagine di Le Monde: “Senza dubbio è il Milan il più grande club dove abbia giocato. Lo conoscono tutti nel mondo, la sua storia è incredibilmente vincente. Lì si respirava un’aria di grandezza, la percepivi dai campioni che affollavano i campi d’allenamento. Un qualcosa di davvero geniale”.
Dal Milan, insomma, è difficile staccarsi. Proprio come affermava Franco Baresi nel 2002, sul sito rossonero, dopo essere tornato in società come allenatore della Primavera: “Ho provato sulla mia pelle quanto sia difficile stare lontano dal Milan. Il cordone ombelicale è troppo corto, ti tiene attaccato a questi colori anche se provi ad allontanarti”.
Stesso pensiero di un’altra leggenda rossonera, Zvonimir Boban: “Tornare nel mio amato Milan mi rende felice” ha affermato il croato in occasione del suo ritorno come Chief Football Officer. “Questo club deve tornare a essere protagonista e vincente, perché è scritto nella natura della sua storia e in quella dei suoi tifosi”.
Da bandiera a bandiera, anche Gianni Rivera non può che avere belle parole da spendere: “Spirito Milan? È vero, esiste. C’è una sorta di filo che unisce i vari periodi rossoneri, ed è quello della correttezza dei rapporti interni e della pacatezza dei comportamenti esterni. Non siamo mai stati un club di urlatori” ha affermato l’ex rossonero sempre a La Gazzetta dello Sport.
Una delle frasi che meglio rappresentano cosa voglia dire giocare in rossonero, però, è sicuramente quella di José Altafini: “Il Milan ha cambiato la mia vita. Essere rossonero mi ha insegnato a essere uomo”. Più di una squadra, più di una società. Uno sguardo a passato e presente del Milan, con un futuro ancora tutto da scrivere.
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