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Una vita in rovesciata. Addio Anastasi, primo grande colpo di mercato

Questa volta nessuna rovesciata. Neanche del destino. Contro la malattia non poteva bastare un colpo dei suoi. La modernità in bianco e nero, acrobazie pionieristiche, piroette della memoria. Pietro Anastasi se n’è andato a 71 anni, nella Varese dove iniziò la sua parabola calcistica. Nato in Sicilia, emigrato al Nord per lavorare nella fabbrica del calcio, diventò il simbolo di tanti meridionali costretti a fare il suo stesso percorso. 

L’Italia delle migrazioni interne e della grande industria. Delle lotte sindacali e degli scontri politici. L’Italia degli anni ‘60 e di una serie A dominata dalle milanesi. Tutte cose legate a un’operazione di mercato del 1968: Anastasi dal Varese alla Juve per 660 milioni di lire. Con tanti saluti all’Inter che aveva già l’accordo con il club lombardo (QUI tutti i duelli di mercato fra Juve e Inter). Uno sgarbo e un’azione politica orchestrata dall’avvocato Agnelli. 

Pochi mesi prima quel centravanti dalla pelle olivastra, scoperto nei campetti di Catania, aveva rifilato una tripletta alla Juventus. Era il 4 febbraio 1968 e quella partita passò alla storia come “il miracolo di Masnago”: Varese-Juventus 5-0. 

“Questo ragazzo sarà nostro”, disse Gianni Agnelli. Pietruzzu U’ Turcu era un tifoso bianconero dalla culla. Quando la Juve giocava a Catania, Anastasi faceva il raccattapalle e aveva occhi solo per John Charles. Porterà tutta la vita nel portafoglio una foto col gallese scattata in quegli anni. 

"Sarà nostro"


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“Sarà nostro”, disse. Nell’estate precedente aveva incassato i no di Gigi Riva, ora presidente onorario del Cagliari, e Gigi Meroni. Per l’ala del Torino – drammaticamente morta nell’ottobre del ’67 – gli operai della Fiat di fede granata arrivarono a sabotare la catena di montaggio. L’affare sfumò, anche per la rivolta dei torinesi. Ma in azienda c’erano altri operai. Erano arrivati dal Sud con valigie di cartone. Producevano la 128 e non avevano simboli in cui riconoscersi. Ci voleva uno come loro. Uno con la faccia scura e i lineamenti attraversati dalla fatica. Uno capace di salire al Nord, dribblare le difficoltà della vita e alla fine esultare.

Bella storia, ma prima dei sentimenti, nel calcio esistono gli affari. E Anastasi, era già stato promesso all’Inter. Italo Allodi, ds nerazzurro, era molto amico di Casati, direttore sportivo del Varese. Doveva essere l’ultimo colpo del presidentissimo Angelo Moratti, che dopo 13 anni di presidenza, lasciava la guida del club a Ivanoe Fraizzoli. Anastasi aveva addirittura già giocato un’amichevole di fine stagione con la maglia nerazzurra contro la Roma. Era il 17 maggio. A fine primo tempo aveva già segnato una doppietta. Mentre tornava in campo per i secondi 45 minuti, un fotografo gli disse: “Pietro, guarda che vai alla Juventus, eh?”. E così andò: l’Avvocato, approfittando del passaggio di consegne alla guida dell’Inter, aveva fatto un’offerta irrinunciabile al signor Borghi. Che ,oltre ad essere presidente del Varese, era il proprietario della Ignis. Cosa c’entra? Semplice: i motorini di avviamento dei frigoriferi Ignis per un anno furono forniti dalla Fiat. Cortesia decisiva, oltre ai 660 milioni.


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"Io terrone? Fiero di esserlo"

Anastasi era della Juve. Gli operai meridionali lo fermavano fuori dallo stadio per abbracciarlo. Era uno di loro. Fu la prima pietra di nazionalizzazione della Juve. Poi vennero il sardo Cuccureddu e il salentino Causio. Pietro e i suoi fratelli, neorealismo e tre scudetti negli anni ’70. 105 reti in serie A e la faccia fiera di fronte ai primi insulti razzisti del nostro calcio. “Mi chiamano terrone? Bene. Sono fiero di esserlo”. 

Peraltro quel “terrone” nel ’68 mise anche lo zampino nell’Europeo vinto dalla nostra nazionale a Roma. Ovviamente segnando in rovesciata nella finale bis contro la Jugoslavia. Marchio di fabbrica e simbolo di chi in fabbrica ci passava le giornate, magari con in tasca la sua figurina. Dove a lungo fu chiamato Piero, erroneamente. Errori come quello del massaggiatore che scherzosamente gli diede un buffetto nelle parti basse prima del mondiale del 1970. Scherzo andato male, visto che poi fu costretto a saltare il torneo. Al posto suo andò Boninsegna, con cui nel ’76 la Juve decise di scambiarlo. Otto anni dopo quell’estate del ’68, Anastasi arrivava all’Inter. Due anni senza gloria, preludio di un tramonto calcistico. La sua carriera finì, passando anche da Ascoli e Lugano. 

Poche ore fa è morto a Varese. Aveva accanto la moglie Anna e i suoi due figli. “Pietro il turco” se n’è andato in un anno che vede Juventus e Inter battagliare per la gloria. A sei mesi da un Europeo che si aprirà a Roma con Italia-Turchia.