Un fischio. Quel fischio, con le dita in mezzo alla bocca per amplificare il suono. Un gesto inconfondibile, il suo gesto. Di chi riesce a farsi sentire anche in uno stadio con 80.000 persone. Che sia San Siro o il vecchio Comunale fa poca differenza. Dove è stato, è sempre stato protagonista. A suo modo, con il suo calcio pratico e vincente. Un personaggio di tutti, patrimonio dell'Italia e degli italiani. Amato da chiunque, a prescindere dai colori e dalle bandiere. Giovanni Trapattoni va oltre al tifo, numero uno del calcio mondiale per oltre 50 anni.
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Da quel 24 gennaio 1960, giorno del suo esordio in Serie A con la maglia del Milan. Tanto grande da allenatore da dimenticare quasi l'altrettanto straordinaria carriera da calciatore. Colonna del centrocampo rossonero di Rocco per 14 stagioni, prima di chiudere a Varese. Sono lui e Lodetti a correre e sacrificarsi, là dove Gianni Rivera inventava con le sue giocate. Il risultato sono due Scudetti, due Coppe dei Campioni, una Coppa delle Coppe, una Coppa Intercontinentale e una Coppa Italia. Non male per chi non farà altro che riempire la propria bacheca per mezzo secolo.
La straordinaria avventura in panchina parte ancora dal Milan, ma avrà il suo compimento alla Juventus. Il Decennio d'oro del Trap a Torino comincia nel maggio 1976. Vince tutto quello che si può vincere, dai 6 scudetti alle coppe internazionali, culminati con la tragica Coppa dei Campioni vinta all'Heysel nel 1985: la prima storica del club bianconero, macchiata indelebilmente dai 39 morti provocati dalla follia hooligan. Arriverà anche l'Intercontinentale l'anno dopo, l'ultimo prima di passare ai rivali dell'Inter. Anche qui con un unico, semplice obiettivo: vincere. Ci riesce al terzo anno, ma lo fa al termine di una stagione entrata nella leggenda. L'"Inter dei record" dei Bergomi, Brehme, Berti, Matthaus e Serena conquista 58 dei 68 punti disponibili. Un trionfo che lo fa entrare di diritto anche nella leggenda nerazzurra.
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L'affacciarsi degli anni '90 e di un calcio sempre più parlato oltre che giocato, trasformano il Trap anche in un grande comunicatore. Sempre a modo suo, ovviamente. Dalla storica sfuriata contro Strunz ai tempi del Bayern Monaco a "non dire gatto se non ce l'hai nel sacco" e l'acqua santa, tirata fuori dal CT della Nazionale ai Mondiali 2002. Il Trap e le Nazionali, appunto. Un rapporto di amore e odio. Se con gli azzurri il suo percorso in Corea e Giappone si schianta su Byron Moreno e il suo discusso arbitraggio negli ottavi contro i padroni di casa, peggio ancora gli accade da allenatore dell'Irlanda. Il grande sogno di arrivare ancora ai Mondiali nel 2010, si ferma nello spareggio contro la Francia e su un clamoroso fallo di mano di Henry. Una delusione troppo grande per un'avventura che sarebbe potuta diventare leggendaria.
Lui, profeta in patria ma non solo. Capace di vincere in Germania con il Bayern Monaco, in Portogallo con il Benfica e in Austria con il Salisburgo. Saranno 10 i campionati conquistati in carriera in quattro paesi diversi. Oggi il Trap compie 81 anni, ma non ha alcuna intenzione di invecchiare. Il giovane che è dentro di lui ancora emerge. La scoperta dei social è l'ultima grande avventura che lo vede protagonista. Sempre unico, inimitabile. Con quel suo tratto distintivo. La sua incredibile carriera è terminata nel 2013, ma il suo fischio risuona ancora. E che la nostra mente e i nostri ricordi ci riportino a San Siro, al Comunale di Torino o alla sua casa di Cusano Milanino fa davvero poca differenza. Auguri mitico Trap, per sempre numero uno.