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Fra Longobarda e presente: Modena, all’alba di una nuova era

Di Lorenzo Del Papa

In Piazza Grande a Modena si respira vita vera. È il 20 febbraio, Giovedì Grasso del Carnevale, e si fa festa. Le maschere, i colori: per una volta non solo il gialloblu. Tutto intorno il Duomo con la sua Ghirlandina, il campanile storico. “Questa piazza è un posto magico. La prima volta che l’ho vista dissi a Vito Grieco che la festa promozione, un giorno, avrei voluto farla qui…”. Poi la fecero altrove, ma Rubens Pasino – simbolo del Modena che fra il 2000 e il 2002 scalò dalla Serie C alla A – di questo posto si è innamorato per davvero. E a Modena ha deciso di restarci a vivere. Pur essendo di Alessandria e pur avendo girato, grazie al calcio, un po’ tutta l’Italia.

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Ma con lui il destino ha fatto la sua parte, evidentemente. Sapete perché si chiama Rubens? “Da bambino le maestre me lo chiedevano sempre. Io dovevo spiegare ogni volta che c’era un giocatore sudamericano che aveva giocato nel Modena e che si chiamava così (Rubens Merighi). Mio papà amava il calcio… fu lui a darmi questo bellissimo nome”. Ne va fiero, Rubens. Quasi 100 partite in gialloblu, dalla C alla A. Diciassette gol, due promozioni e una maglia…speciale. Quella della festa al Braglia per la Serie A, con scritta eloquente:La Longobarda ha colpito ancora”. La custodisce a casa. “L’idea nacque in settimana da Milanetto e qualcun altro, in spogliatoio si ricreavano sempre delle scene simili a quelle della squadra di Lino Banfi”. 

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Sala, medico e… romanziere

“È vero”, conferma Francesco Sala, storico medico del Modena fino al 2008, oggi romanziere. Sorride sentendo parlare Rubens, lui non giocava ma lo spogliatoio lo viveva ogni giorno. Eccome se lo viveva: “Il mister di allora, De Biasi, usava fare una riunione tecnica con una lavagna di quelle a fogli. Io prima della riunione scrissi di nascosto sul secondo “Oggi giochiamo col 5-5-5”. Quando voltò il foglio…scoppiarono tutti a ridere”. Questa volta è Rubens che se la ride, mentre parla il “Doc”. Fra un portico e l’altro ci siamo spostati duecento metri più in là, in Piazza Grande ora c’è il pienone. Ma anche Palazzo Ducale ha il suo fascino: “Una struttura del genere potrebbe tranquillamente stare in città come Roma o Vienna, c’entra poco con Modena”. Parola di Sala, che oggi scrive romanzi gialli, “non gialloblu”. Ma che i ragazzi di quel Modena li rivede ancora spesso, tra una visita medica e una rimpatriata. Magari davanti a un bel bicchiere di Lambrusco e un piatto di tortellini in brodo. Con qualche tigella e un tagliere di salumi.

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“Il ricordo indimenticabile è il giorno della promozione dalla C alla B, nel 2001. La partita a Brescello fu qualcosa di straordinario…”. E chi se lo dimentica: gol all’ottavo minuto di recupero e delirio. L’impressione è che pur non giocando fosse davvero “uno di loro”, uno di quel gruppo “irripetibile”. Oggi allo stadio ci va un po’ meno, ma la squadra continua a seguirla, anche in Serie C. Perché a Modena sono fatti così: “Noi modenesi vogliamo sempre vincere. Sarà perché c’è la Ferrari o perché la pallavolo sta ottenendo risultati storici…siamo fatti così, badiamo sempre al sodo”. “Sodo” come Sodinha, che guarda caso è il giocatore più rappresentativo del nuovo Modena. 

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Casati: "A luglio non sapevamo dove avremmo giocato"

Oggi il Modena, ripartito l’anno scorso dai dilettanti dopo il fallimento nel 2018, è ottavo nel girone B di Serie C. A luglio la società non sapeva nemmeno in che categoria avrebbe giocato: “Abbiamo avuto una partenza ad handicap, molti giocatori ci hanno chiesto da subito la certezza di giocare in C, ma noi ovviamente non potevano dargliela all’inizio”, spiega Roberto Cesati, ex attaccante dell’Inter (fra le altre), oggi direttore generale gialloblu. “È inevitabilmente una stagione di assestamento, in cui cerchiamo di gettare le basi per avere in futuro ambizioni diverse”. Serie B? Cesati non ne parla mai direttamente, il girone è proibitivo: “Purtroppo in C ne passa soltanto una, poi però c’è la roulette dei playoff…”. Eppure è chiaro che già dall’anno prossimo possa diventare un obiettivo, del resto al Braglia sognano sempre in grande: “Il modenese è abituato bene e per questo è abbastanza pretenzioso, noi dobbiamo essere all’altezza della città”. Rincara: “Abbiamo un tifo straordinario, quindi anche tanta pressione. Ma l’attaccamento è fortissimo”. Già, l’attaccamento: l’anno scorso scorso in Serie D c’erano 5573 abbonati, quest’anno la curva -al Braglia, e non solo – è sempre piena. Perché l’amore per il Modena non è mai morto, nemmeno nei dilettanti. Nemmeno nell’anno del fallimento. E non lo farà di certo ora. Perché è all’alba di una nuova era che “risplende la città intera”.

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