Da Bela Guttmann alla Copa Libertadores: la rivincita di Jorge Jesus
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Data: 24/11/2019 -

Da Bela Guttmann alla Copa Libertadores: la rivincita di Jorge Jesus

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Una lingua per due mondi, una Copa Libertadores per prendersi le proprie rivincite. Nel successo del Flamengo campione del Sudamerica c’è la mano di Jorge Jesus, il portoghese arrivato da lontano per riportare nella Rio rubronegra un titolo che mancava da 38 anni.

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Jorge Jesus, dalla fabbrica all'Amora

Ossessione per i dettagli, per lo studio dell’avversario, ma anche per la personalità. Jesus è sempre stato così: fortemente leader, uno che le cose le dice in faccia senza paura, a volte anche esagerando. E lo faceva anche da bambino, quando giocava nel parcheggio antistante la fabbrica di famiglia a Lisbona, quella dove spesso aiutava anche come elettricista: era lui il capitano, lui che faceva le squadre e spesso anche quello che decideva le partite. Un allenatore prodigio già da bambino insomma.

Forse anche per questo il papà Virgolino, che ha fatto anche il calciatore per lo Sporting (vi ricordate di Raphinha?), gli ha dato il permesso di cominciare a giocare a calcio mettendo in secondo piano la vita di fabbrica. La sua prima maglia fu quella dell’Estrela Amadora, curioso che sia sostanzialmente identica a quella del Fluminense, il grande rivale del suo Flamengo. Intrecci tra rivalità che si inseguono nella sua carriera, perché come detto la sua è una famiglia di tradizione biancoverde, tifosi e calciatori dello Sporting. E infatti lui dallo Sporting ha cominciato a livello professionistico, salvo poi diventare grande sulla panchina del Benfica (dove invece Gabigol ha deluso).

Ma il processo che l’ha trasformato da calciatore ad allenatore è significativo della sua carriera. Nel 1989 giocava per l’Almacilense in terza divisione contro l’Amora: la partita finì 3-3 ma Jorge Jesus negli spogliatoi fu intercettato dal presidente della squadra avversaria. “Voglio che tu diventi l’allenatore della mia squadra” – “Ma io sono un calciatore, presidente” – “Non importa, sarai un grande allenatore”.

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Un dialogo che ha cambiato la sua storia, o forse l’ha messa solamente nei binari giusti, perché Jorge Jesus il destino dell’allenatore ce l’ha sempre avuto. Cominciò dunque da questo modesto club di terza divisione la sua visione maniacale dalla panchina, condita da qualche pizzico di bizzarra follia, come quella di chiedere una piscina dentro casa per accettare il contratto.

Il personaggio è quello, prendere o lasciare. Una delle sue ossessioni era l’altezza dell’erba, oppure fare delle pagelle per tutti i suoi calciatori con voti scolastici come ‘Mediocre’, ‘Sufficiente’, ‘Eccellente’.  E quei file li conserva ancora.

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I successi e la maledizione di Bela Guttmann

Fu il Belenenses la sua prima impresa sportiva, quas. Dopo tantissimi anni di assenza dalle coppe europee portò la squadra in Coppa Uefa e anche in finale di Taça di Portugal, orme che attualmente vorrebbe ripercorrere il piccolo Famalicao. Da lì prese il volo verso una carriera di successi: prima il Braga, poi il Benfica.

Sì, i grandi rivali della squadra di famiglia, ma un’occasione troppo importante per farsela scappare. È diventato una leggenda al Da Luz: tre campionati, quattro coppe di lega, una coppa nazionale. Gli è mancato solo un titolo europeo, ma per quello ha dovuto fare i conti con la storia del Benfica.

Colpa dell’ormai famosissima Maledizione di Bela Guttmann. "Da qui a cento anni il Benfica senza di me non vincerà mai una coppa europea" disse l’allenatore Campione d’Europa nel 1962 dopo che la società si rifiutò di pagargli un premio-partita. E da lì in poi il Benfica ha vinto tanto in patria, ma mai in Europa. E nella maledizione ci è caduto a pieno anche Jorge Jesus. Due finali di Europa League consecutive, 2013 e 2014, entrambe perse contro Chelsea e Siviglia. A Bela Guttmann non si può sfuggire, al Portogallo sì.

E così dopo un polemicissimo ritorno allo Sporting senza titoli, scelse l’Arabia Saudita. Ma la lingua del suo calcio è il portoghese e capì in fretta che il suo nuovo mondo era il Brasile. Quello che a 16 anni nel 1970 lo convinse che era quella la vera patria del calcio. 

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L'eroe di Rio

Ha scelto il Flamengo e lì si è preso le sue rivincite. Ha vinto la Copa Libertadores (ed è vicinissimo a vincere anche il campionato) costruendo una super squadra, ha nobilitato il Brasileirao ponendolo al centro dell’attenzione con dichiarazioni in pieno stile Jesus. “È il campionato più competitivo del mondo, da nessuna parte ci sono così tante favorite al titolo”, oppure “Il mio Flamengo si giocherebbe il titolo in Inghilterra”. Ha fatto in modo che alla sua corte arrivassero giovani forti ma anche grandi veterani come Filipe Luis e Rafinha

E con questo approccio se non la spari troppo grossa i risultati arrivano. Eccome se arrivano. Anche dall’altra parte dell’Oceano, tra successi e rivincite, nella lingua del suo calcio.



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