Le vecchie glorie stanno finendo la partita, poi ‘beer and fries’ per tutti. “Cerca Meindert, potrà raccontarvi tutto sulla nostra squadra. Ha giocato anche con Van Basten”. Dagli spalti ci indicano quello con la fascia al braccio, tra i calciatori in maglia rossa. Ha superato i 50, come buona parte dei 22 in campo: ogni scatto è una fatica, il gioco è frammentato dai guai muscolari, ma per il resto vincono dignità e tradizione.
Da una parte il Koninklijke di Haarlem, nato nel 1879 quando l’Italia intera era appena maggiorenne. Dall’altra l’Amsterdamsche FC, dal 1895: solo il Genoa tra i nostri esisteva già. Il club più antico d’Olanda (QUI invece il record del mondo) contro il primo della capitale.
“E non per modo di dire!”, inizia a raccontarci il signor Huisman in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com. Siamo nella piccola sede societaria ad Amsterdam Zuid. Nella baraonda del postpartita, compagni e avversari brindano tutti assieme. Da sempre, ad ogni livello: “Qui da noi sono passati Gullit, Van Basten, i fratelli de Boer. E poi Wim Kieft e Aron Winter, Bryan Roy e Johnny van’t Schip”. Sprazzi olandesi di Serie A.
“Venivano a giocare tutti i sabati, nella nostra squadra amatoriale. E quando si andava in trasferta, immaginatevi la gente! Tutte le macchine parcheggiate in doppia fila: in mezzo, le Porsche Cayenne dei campioni”. Sacro e profano senza barriere. “È vero, ci ho giocato anch’io con Marco, Ruud e altri”. Brividi. “Non si sapeva mai cosa sarebbe potuto succedere in campo. E fuori, quante risate. Bryan Roy era quello che scherzava sempre, ma tutti avevano un sacco di storie da raccontare”.
Di padre in figlio (e vivaio)
L’ex compagno rivela una versione inedita dei campioni: “Erano così forti…eppure con noi si contenevano, giocavano al nostro stesso livello. Non avresti detto che Gullit era Gullit!”. Da un rossonero all’altro, l’amicizia si è mantenuta anche a distanza. “Me lo ricorderò per sempre: quando lui, Rijkaard e Van Basten erano al Milan, noi avevamo vinto un campionato locale. E subito ci arrivò il fax di congratulazioni da tutti loro”. Posta prioritaria da Milanello: piano piano l’AFC avrebbe restituito il favore.
“Fino a qualche anno fa avevamo con noi Maxim Gullit, oggi tocca a uno dei ragazzi di Rijkaard”, continua Meindert. “Frank arriva il pomeriggio, si mette tranquillo a bordocampo e guarda il figlio in silenzio. Per noi è tutto così naturale: qui ha cominciato Daley Blind, ci hanno giocato quasi tutti i Kluivert. Justin compreso”. Ma l’Amsterdamsche è molto più di un nido d’inverno per fuoriclasse o di un trampolino per i loro figli. “Ogni anno, 15-20 dei nostri ragazzi di tutte le età finiscono in una squadra di Eredivisie”, spiega il tesoriere del club. “Soprattutto all’Ajax o all’AZ: noi prendiamo una percentuale quando viene firmato il primo contratto. Ma è poco, rispetto al talento che perdiamo. Dall’anno scorso ricopro questa carica e i conti parlano chiaro: abbiamo bisogno di sponsor”.
Calcio come una volta
A questo punto può sembrare incredibile. Ma l’AFC non è un club professionistico. “E non abbiamo mai pensato di diventarlo”, insiste il signor Huisman con orgoglio. “Il nostro è calcio amatoriale ad alti livelli: una storia di sport iniziata tra amici e così è continuata”. Per 125 anni tondi tondi. “Ogni 18 gennaio ci troviamo in un grande hotel di Amsterdam, tutti in cravatta nera. Sempre, dalla fine del XIXesimo secolo. Abbiamo antiche tradizioni a cui continuiamo ad essere molto legati”. Tutta questione di identità: più che fermare il tempo, si mantiene lo spazio. “Ci conosciamo tutti da una vita, io stesso gioco qui da 51 anni”.
Dall'amichevole con l'Ajax...
Così celebrità e anonimato continuano a passarsi il pallone di generazione in generazione. “Molti ex campioni sono di Amsterdam o dintorni e si divertono a giocare tra amici. Come facciamo noi”. Basta guardarsi attorno per capire: gli interni della sede celebrano il campionato di Tweede Divisie (terza serie olandese) vinto la scorsa stagione. Ma nessuna foto di Gullit, nessuna reliquia di Van Basten, una targa o un pallone firmato. Niente di niente. Potremmo essere ovunque. “Anche se sei famoso, qui nessuno ci fa caso e ne parla”, sorride Meindert. “C’è grande rispetto reciproco: conta la persona che c’è davanti, non la carriera alle spalle”.
Vale anche per gli avversari. Il club più antico della capitale sopravvive nel suo universo parallelo. E quando incrocia quello dei lancieri… “2-2! La nostra ultima amichevole contro l’Ajax”. Meraviglie del precampionato, 12 luglio 2016: l’AFC va per due volte in vantaggio, il genoano Schone e Muric salvano la squadra allora guidata da Peter Bosz. “Ma loro avevano appena iniziato ad allenarsi”, Meindert prova a smorzare un sorriso largo così. “Noi invece eravamo già avanti con la preparazione. Rivalità? No, no. Tanti ragazzi dell’AFC sono anche abbonati all’Ajax. Semmai fascino. Ne abbiamo fatte di partite storiche”.
...a quella contro il Barça di Cruijff
25 anni fa l’onore fu ancora più grande: “Per il nostro centenario si era attivato anche Johan Cruijff, che all’epoca allenava il Barcellona”. Indica uno dei campi fuori dalla finestra, tra gru e cantieri. Ora metteteci Stoichkov, Romario e Guardiola. “Esattamente lì, abbiamo giocato contro quei blaugrana. È il tipo di cose che succedono dalle nostre parti. Chi vinse, però non me lo ricordo…” Siamo sicuri che finirono in alto i boccali anche quella volta.
Si sta facendo tardi, fuori c’è solo una squadra giovanile rimasta a correre. “È quella allenata da uno dei fratelli di Seedorf, un ‘Amsterdam guy’ pure lui”. E ti pareva. Un cartello ci saluta all’uscita della clubhouse: ‘I gioielli di una casa sono gli amici che vi stanno dentro’. In cravatta nera, da 125 anni. Ne avranno tenuta una da parte anche per Van Basten.