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Campodarsego in C, Pasquato: “Qui una famiglia, la Juve un sogno”

Tutto era iniziato dando il cambio ad Alex Del Piero. La maglia quella della Juventus, da padovano a padovano. Meglio di un film. Ma il copione sarebbe proseguito in modo imprevedibile, tra scelte matte e colpi di scena. La carriera di Cristian Pasquato: 12 anni dopo quel debutto, oggi il fantasista è tornato dalle parti di casa e festeggia. La promozione in Serie C con il Campodarsego!”


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Per la prima volta nella sua storia, il piccolo club a nord di Padova ha centrato il salto tra i professionisti. “Non sarà bello come una vittoria sul campo fino alla fine”, Pasquato inizia a raccontare in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com, “ma appena c’è stata l’ufficialità, l’emozione è stata ritrovarsi a mangiare insieme dopo tanto tempo”. Piccole grandi gioie post emergenza sanitaria. “Martedì abbiamo fatto il primo allenamento di gruppo: c’era un’aria bellissima, sembrava quasi l’inizio di una nuova stagione. Dal giorno della firma ho sempre pensato a questo traguardo”.

Dopo il Padova e il Cittadella, il Campodarsego diventa la terza realtà della provincia. “Ma prima di dire che il Padova giocherà contro di noi, speriamo che vada in B attraverso i playoff!, Pasquato rimane biancoscudato nel cuore. “Mentre il Citta potrebbe essere un grandissimo punto di riferimento, per organizzazione e progetto. Anche se sarà difficile tenere il loro passo: sono macchine da guerra”. Intanto il Campodarsego cresce anche con le strutture: nuovi spogliatoi, campi sintetici e in erba. “Sta nascendo un piccolo centro sportivo, spero diventi la base di qualcosa di straordinario. Perché porsi dei limiti? A me piace sognare”.


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E per questo Cristian era tornato a casa. “La scorsa estate mi stavo allenando qui con i ragazzi, ma volevo rimanere tra i professionisti, ammette il classe ’89. “Non si è concretizzato nulla e così – un po’ glielo dovevo – ho firmato con questa società umile ma ambiziosa che mi ha fatto sentire da subito in famiglia”. Un esempio? “Prima dello stop andavamo agli allenamenti due ore prima e finivamo due ore dopo. Per una partita a calcio tennis, o fare aperitivo e giocare a carte. E il giovedì sera ci si fermava sempre a mangiare in una baracca lì al campo. Con presidente, dirigenza e tifosi”. Vecchi ultras non è un modo di dire: “Una decina di appassionati storici: il più giovane avrà 76 anni…” Welcome to Campodarsego.

Tornando dall’Est

Si parlava di scelte matte. Prima della promozione di oggi, l’ultima conquistata da Pasquato è stata con il Pescara di Oddo, dalla B alla A nel 2016. Nel mezzo, una retrocessione in Russia e uno scudetto in Polonia. “Dopo Pescara sentivo il diritto di giocare in Serie A”, racconta Cristian. “Purtroppo non si erano creati i presupposti e allora ho accettato la chiamata del Krylya Sovetov. A Samara, sulle rive del Volga, dove quell’anno giocava anche l’ex Barça e Arsenal Aleksandr Hleb. “Non capivo il russo, lì si parla pochissimo inglese e provate voi ad aspettare un taxi con -30 gradi percepiti. A parte questo è stata un’esperienza positiva”.


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Gol contro Zenit, Spartak, CSKA e Anzhi. “Praticamente tutte le big, anche se abbiamo sempre perso. Poi è arrivata la chiamata del Legia Varsavia. E mi è sembrato di tornare a respirare l’aria della Juventus. Pasquato ha sognato di nuovo. “L’Europa, ma purtroppo in due anni siamo sempre usciti ai preliminari. Ci siamo consolati con il campionato: vincere con il Legia è il massimo. Basta pensare a quelle coreografie pazzesche che solo loro sanno inventarsi”. La voce del giocatore si accende: “Tra spogliatoio e ristoranti, gli italiani sono ovunque. È facile sentirsi a casa. Davvero, a Varsavia ci tornerei domani. Le scelte che ho sbagliato sono altre. Anzi, ne cambierei una sola”.

Mondo Juve, sogno eterno

Estate 2011. Pasquato è in ritiro con la Juve. Per i bianconeri non sono stati anni facili, ma è appena arrivato un nuovo allenatore. “E io, tra rimanere a Torino con Conte e andare via in prestito per avere più possibilità di giocare, decisi per la seconda. Mezza stagione a Lecce, poi di nuovo sotto la Mole ma sponda granata. “Oggi è facile dire che è stato un errore. La verità è che restare alla Juve quell’anno mi sarebbe servito tantissimo: magari avrei avuto solo una mezza possibilità su un milione di mettermi in luce. Ma dovevo giocarmela.


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Cristian non nasconde il rimpianto. “Già, se potessi tornare indietro… Anche solo per continuare a vivere Vinovo. Un mondo a sé. “Ero un ragazzino, mi sembrava di essere dentro un film. Mi emozionavano tutti, dal presidente al magazziniere. Certo, quel cambio ad Alex resta indelebile. Ma da Buffon a Vidal, ogni campione mi faceva sentire uno di loro: non esistevano giovani e veterani. Giocavamo per la Juve. Eravamo dei guerrieri in battaglia l’uno per l’altro.

Un’atmosfera che tanti ragazzi del vivaio hanno potuto raccontare, ma che in pochissimi arrivano a vivere da protagonisti. De Ceglie, Giovinco, soprattutto Marchisio. Chi è riuscito a emergere con quella maglia si conta in una mano. Ma la gente pagherebbe per starci anche 5 minuti, io sono un privilegiato: da bambino ero milanista, dopo tanti anni nell’ambiente Juve è impossibile non impregnarsi di quei colori e quella mentalità”.

“Fino a 46 anni”


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Pasquato ha saputo esportarla altrove, ritagliandosi il suo spazio nel calcio italiano. “Correre sotto la curva del Dall’Ara, davanti a una muraglia infinita di tifosi e festeggiato da Gila e Diamanti: tantissima roba”, emergono i ricordi di Bologna, dove nel 2013 sono arrivate le uniche due reti – spettacolare, quella contro il Cagliari – in Serie A del fantasista. “Mentre in B, oltre al Pescara mi viene in mente l’annata di Modena. Nove gol, ma soprattutto mi sono divertito tanto. E questa per me è la cosa più importante. Al di là di ogni categoria”.

Quindi il futuro dice ancora Campodarsego? “Quello della squadra è salvarsi, il mio si vedrà. Oggi è ancora presto progettare per tante società: qui sto benissimo e mi piacerebbe rimanere, però nel calcio non si sa mai. L’unica certezza è la mia voglia di continuare a giocare. A 31 anni Pasquato non riesce a pensare ad altro. Vorrei farne ancora 15. Perché il giorno in cui non potrò più scendere in campo vuol dire che non potrò più fare quello che ho sognato da bambino”.

Il touch a Del Piero, l’inverno russo e lo scudetto al Legia. Fino a quel giovedì in famiglia, tra i ‘veci’ del Campodarsego. Un intreccio così non poteva immaginarselo neanche lui.