Rewind. Davanti a noi c’è davvero Gilagol, quello del violino da 273 acuti in carriera. Da Milano a Palermo passando per Firenze, in tutta Italia e per l’Italia. Quello che – presente storico – ‘potrebbe tenerla vicino alla bandierina’ e invece no, ringraziano Del Piero e un paese intero nella notte di Dortmund. Flash di un Campione del Mondo e di un allenatore tra i dilettanti. Nessuna nota stonata. “A ottobre c’è stata questa opportunità e l’ho presa subito al volo”, Gila inizia a raccontarci la sua nuova vita in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com.
“Ho trovato una squadra con molti giovani ma prevalentemente di giocatori esperti, che hanno fatto categorie superiori”. Bruno, Caridi, Sodinha: Serie B reunion in provincia di Brescia. “Quindi per me è stato molto più semplice adattarmi”, spiega Gilardino. “Il Rezzato è una realtà un po’ diversa dalle altre: tra giocatori e staff c’è un rapporto molto diretto, ma qui si annusa il professionismo”.
L'ex attaccante finora non ha conosciuto altre realtà. “Io sono arrivato al Rezzato per mettermi in gioco, lavorando sui miei concetti”. Lezioni di una vita, che tornano utili soprattutto ex post. “Ho sempre avuto grandissimi allenatori: Prandelli, Pioli, Mihajlovic. Penso soprattutto a Gasperini: a quello che mi chiedeva, al suo modo di pensare. Ammetto che a volte facevo fatica ad accettarlo, quando mi allenava. Ora che sono dall'altra parte invece capisco i suoi concetti, al di là del capolavoro che sta facendo con l'Atalanta”. Più maturo, a quasi 37 anni, ma pur sempre Gila. “Quello che ho imparato da loro nell’arco della mia carriera, oggi lo voglio proporre ai miei ragazzi. Da giocatore non mi sono mai snaturato, non ho intenzione di farlo nemmeno da allenatore”.
Un esempio? La cartolina finale dell’attaccante, poco meno di un anno fa. Lo Spezia ospita un Parma a caccia della promozione nell’ultima giornata di Serie B: sul punteggio di 0-1, c’è un rigore per i liguri. Gila calcia male, sbaglia, incassa la velenosa contestazione dei suoi tifosi che lo accusano di aver tirato volutamente fuori per favorire la sua ex squadra. Sarà la sua ultima partita da calciatore. “Non ho nulla da dire a riguardo. Al calcio ho sempre dato tutto, anche a La Spezia. All’interno di una stagione per me complicata: sono arrivato a ottobre senza preparazione con la squadra, con diversi problemi fisici e al mio primo anno di Serie B. Eppure ho lasciato un segno importante anche lì”.
16 presenze e 6 gol (di cui un gioiello a Cittadella). “Ma è soprattutto come uomo che mi hanno apprezzato. Ancora oggi dirigenti e calciatori dello Spezia mi chiamano per complimentarsi e parlare con me. Poi i rigori si sbagliano, mi è capitato tante altre volte. Ho fatto una carriera straordinaria, sinceramente non avevo bisogno di costruirmi un finale diverso. Mi sono guardato dentro e mi son detto che era arrivato il momento. Meglio decidere da sé, piuttosto che arrivare a far decidere gli altri”. Chapeau. “Ci vuole coraggio, convinzione nella decisione. E magari una piccola spinta: a giugno ho fatto il corso a Coverciano, un mese e mezzo intenso con altri 12 ex calciatori (da Pirlo a Batistuta) che ha accelerato il mio passaggio ad allenatore. Il rettangolo di gioco è e resta la mia vita”.
Si allargano gli orizzonti, dopo più di 18 anni nello stretto. “In area di rigore sono sempre stato molto abile, molto furbo. Sapevo che quella è sempre stata casa mia, fin da piccolo, quando guardavo le cassette di Vialli e Batistuta, di Platini e Van Basten. Giocavo con il pensiero che lì dentro comandavo io, cercando di anticipare le mosse del difensore. Un obiettivo costante”.
Genesi di una prima punta doc. “La percezione di potercela fare l’ho avuta quando ho debuttato in Serie A a 17 anni”. Piacenza-Milan, assaggio del futuro di Alberto apparecchiato da Gigi Simoni. “Ero giovane e determinato. Ma sicuramente non avrei mai pensato di poter fare quello che ho fatto. Devo ringraziare tutte le persone che ho incontrato nel calcio, dagli addetti ai lavori alle società in cui ho giocato”.
Brainstorming di emozioni, colori, momenti. “Sì, il violino è stato il mio primo grande amore, legato ai miei bellissimi ricordi a Parma. Eravamo a cena io e Marchionni e ci è venuta l’idea: dal prossimo gol lui mi avrebbe fatto l’inchino e io il gesto del violino. Da lì è nato un po’ tutto”. Tra 2003 e 2005 Gilardino esplode, segna 51 reti con i gialloblù e vince l’Europeo U21 con la Nazionale. Sembra la Locomotiva di Guccini, ‘l’eroe giovane e bello’ di un calcio italiano improvvisamente ai suoi piedi. Eppure, a 23 anni, l’attaccante è già un uomo formato dagli eventi.
“Fino al 2001 vivevo nell’incoscienza della gioventù, ero molto ingenuo. Poi…”. L’incidente stradale, ai tempi del Verona: la macchina va fuori strada, viene inghiottita dal Sile, Alberto e i suoi amici ne escono per miracolo. “Il grande spavento ci ha fatto capire che la vita è unica, che va vissuta giorno dopo giorno cercando davvero di essere arrabbiati il meno possibile. E di condividere la passione per il calcio con i tuoi cari, con le persone che lo amano come te”.
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