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“L’Inter? Sarà forte e regolare”. Le prime parole di Conte da allenatore nerazzurro furono la sconfessione di un’endemica pazzia. Era il 31 maggio, c’era un cantiere ancora da aprire e il libro dei sogni ancora da scartare. 


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“Not crazy Inter. No more”, ribadì al presidente Zhang. Work, work, work fu il mantra con cui si presentò a Londra. Il verbo del Contismo per eccellenza. L’ossessione per l’intensità e per la perfezione. Un calcio al fatalismo e all’elogio dell’imprevedibilità. “Pazza Inter” è sparita anche dalla playlist di San Siro, ma i derby sfuggono alla ragione. E allora rieccola, nel giorno più sentito.

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Dominata per un tempo, sotto di due gol. In ginocchio ai piedi di Ibra, groggy e poi… E poi 45 minuti da manicomio, che valgono l’aggancio alla Juve. Quattro gol per riprendere e scavalcare il Milan, per superare la Lazio in attesa di uno scontro diretto impensabile a luglio. Rischiava di essere la serata delle occasioni perse, è diventata la notte della convinzione. Se alla fine della stagione, l’Inter chiuderà alzando il trofeo più ambito, il secondo tempo del derby sarà al centro dei racconti.


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Non è dato sapere cos’abbia detto Conte nell’intervallo. Pochi minuti prima aveva subito un attacco aereo da Ibra: prima un assist per quel Rebic messo nei consigli per gli acquisti estivi, poi un volo sopra De Vrij e sotto alla Nord. Not for everyone è il claim commerciale dell’Inter. Ecco, non è per tutti ritrovarsi nudi di fronte a una vetta che si allontana, trovare un rifugio e ripartire.

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Il secondo tempo è stato a immagine e somiglianza di Antonio Conte: teste, cuore e gambe. Un assalto all’area rossonera dimostrato dai dieci tiri, di cui la metà arrivati negli ultimi 16 metri. Baionetta e fioretto, precisione e coraggio. Come quello di Marcelo Brozovic, insostituibile del centrocampo contiano. Il suo tiro al volo ha scacciato i fantasmi di un primo tempo di sofferenze immani, ridando voce a uno stadio ammutolito dopo i primi 45 minuti perfetti del Milan.

Crederci sempre, secondo verbo del Contismo. Magari con una giocata in profondità di chi è partito di rincorsa in questa stagione: taglio di Sanchez e assist per Vecino. L’uomo che aveva regalato la Champions nella celebre notte dell’Olimpico. Quella in cui un difensore centrale olandese visse 90 minuti impossibili mentalmente. Un contratto in mano con l’Inter e il dovere di giocare contro il proprio futuro.

Una partita che Stefan De Vrij finì con un asciugamano sulla faccia, dopo aver causato il rigore del 2-2. Questa volta – sul 2-2 – ha trovato una torsione impossibile. Per salire in vetta e per tornare sul luogo del delitto tra una settimana da primo in classifica. A testa alta, nonostante quello svedese volato sulla sua testa al 90’. Poteva essere il 3-3, ma il pallone è finito sul palo.


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E mentre Conte faceva chilometri fuori e dentro alla sua area tecnica, ci ha pensato il suo Romelu a chiuderla. Ad agosto Antonio aveva avuto il timore di vederlo scappare di nuovo. Lo aveva rincorso ai tempi della Juve e se lo era trovato contro in Premier. Promessi sposi eppure sempre lontani. Si sono trovati, finalmente. Due uomini in missione.

Fisici negli abbracci che si sono scambiati dal primo giorno, meticolosi nella cura che hanno messo per aprire il cantiere: elmetto in testa e scarpe grosse. Il finale di questo derby è il filmino del loro matrimonio. Lukaku che fa salire la squadra e gira da centro boa sulla destra. Conte spinge il contropiede come se dovesse buttarsi in area lui. Sulla fascia a rifinire c’è Victor Moses, gradito ospite sul treno per la gloria. In mezzo c’è il numero 9. Non salta i 253 centimetri di Ibra, ma sulla stessa mattonella rovescia la notte. 

Triplice fischio. L’intensità degli abbracci misurano il valore di una vittoria. Quelli che un trasfigurato Antonio Conte riserva ai suoi ragazzi dicono tutto. Ne ha per tutti: uno vigoroso per Nicolò Barella, che forse sta continuando a correre ancora. Uno affettuoso per Christian Eriksen, che ha fatto tremare la traversa con una punizione surreale.

Antonio abbraccia tutti ed esce dal campo, mentre San Siro cinge d’amore una squadra che ha ridato sostanza a vecchi sogni. Non suona Pazza Inter stasera, c’è solo un rumore. Come dice Diodato nella canzone che ha vinto Sanremo, “non voglio fare a meno ormai di quel bellissimo rumore che fai”Il pensiero stupendo del popolo nerazzuro che in una notte di febbraio si ritrova primo. Aggrappato al suo vecchio avversario. Quello che ha portato l’Inter a essere davvero forte. Del tutto regolare forse ancora no, pazza magari ancora un po’.