La riconoscenza di Ciofi: “Cesena, per te tutto l’amore possibile. Mamma e papà gioco per voi”

Le partite con la mamma, l’insegnamento della famiglia, la “romanità” e i legami che ritornano: il capitano del club romagnolo si racconta a gianlucadimarzio.com
Il sorriso. La serenità offerta da un contesto divenuto custode di consapevolezze. E poi i dubbi: fonte inconsapevole di quei sorrisi. Di qualsiasi entità. “Di cosa parleremo? Non vorrei andare in difficoltà”. L’essenza della storia che proveremo a raccontare è rinchiusa in queste immagini. Una corsa all’inseguimento di sicurezza e risposte.
“Forse, però, è meglio se stiamo sugli spalti (ride ndr.)”. D’altronde, è abituato ad anticipare i ‘pericoli’. E nessuno conosce i segreti ‘di casa’ meglio di chi la abita: in campo è partito l’impianto di irrigazione.
Quando entri all’Orogel Stadium di Cesena e ad accoglierti ci sono l’educazione e la naturalezza di Andrea Ciofi percepisci di essere ospite. Gli spazi sono l’essenziale in una casa. “Qui va bene? “Daje”, meglio che mi sieda”. Frammenti di un percorso di vita e carriera che ritornano nella banalità di un intercalare inconfondibile.
Il dondolio sullo sgabello, le braccia che convergono fra le gambe e le mani giunte. Gli occhi “ridono”, i denti si stringono. È la sana tensione di chi non sa cosa gli aspetta. Ma siamo ospiti. E come tali: ascoltiamo.
Scelte
“Mai avrei immaginato di arrivare fin qui”. Andrea ci guida. Come fa in campo con i suoi compagni. Oneri e onori di casa. “Sono arrivato a Cesena otto anni fa con la squadra in Serie B. Ero un “ragazzetto” di appena 18 anni. Ripensarci oggi fa sorridere, ma all’epoca ero assalito dalle domande”. Quella minaccia dell’ignoto. “Oggi, con estrema riconoscenza e sincerità continuo a ripetere che questa città è diventata la mia seconda casa. Questa piazza per me rappresenta tutto. E io ho il dovere di restituirle tutto quello che posso”. E così, dagli obiettivi del futuro, riaffiorano i ricordi del passato che, forse, non vorrebbe nemmeno ripercorrere. Ma che scolpiscono la statura dell’Andrea odierno. “Alla fine della mia prima stagione in Primavera il Cesena fallì”.
La desolazione della città è tangibile. Il settore giovanile viene smantellato. Ciofi si trasferisce all’Imolese. Chissà, forse le sue orgogliose origini in quella Roma caduta e rialzatasi più volte lasciano il segno. E così saputo che il club bianconero sta per rinascere riflette senza esitare. “Sono tornato l’ultimo giorno di mercato. Dopo il fallimento non c’era nulla. Né divise, né centro sportivo. Non avevamo lo stemma sulle maglie e per la prima partita ne abbiamo usato uno provvisorio”. Macerie. Diventate reliquie di una ricca storia di legami, soddisfazioni e crescita. “Vedere il Cesena oggi è meraviglioso. Spero solo di continuare a essere all’altezza per riportarla dove merita”.

Nel posto giusto
Immedesimarsi. Lasciarsi trasportare. Ciofi e il Cesena. Cesena e Andrea. “Questa maglia è diventata una seconda pelle”. Non una corazza. Ma il motivo per essere sé stessi. “Io qui ho vissuto tutte le mie “prime volte”: la prima gara nei dilettanti; l’esordio vero “nei grandi”; il primo gol tra i professionisti”. Educazione, rispetto e riconoscenza. Le risorse di Andrea. “Continuare a indossare questa casacca è un orgoglio che si rinnova ogni giorno. La sento così mia da non riuscire a immaginare altro. È tutto troppo bello”. Un rapporto che solo la contingenza del momento prova a scalfire: “I primi mesi sono stati i più duri della mia vita. Era la prima volta lontano da Roma. Sentivo la mancanza della mia famiglia e dei miei amici”. Sospiro. “No, non ho mai pensato di aver sbagliato. O di mollare. Dentro di me sapevo che se fosse andata bene sarei stato il ragazzo più felice del mondo. Diversamente, non avrei avuto rimpianti”.
Per il resto c’è il fortunato contorno che abbraccia il difensore 26enne bianconero. “Ho conosciuto persone fantastiche che mi hanno aiutato fin da subito a superare le mie paure”. Nessuna retorica. “Questa città vive di calcio. Sono sufficienti una passeggiata o una colazione in centro la mattina dopo una partita per conoscere questa gente. E poi nessuno si è mai tirato indietro nell’aiutarmi. I romagnoli hanno una soluzione per qualsiasi problema. Come posso non essere grato a questa città?”. Domande che non richiedono risposte. “Sarò sempre riconoscente a De Feudis, Agliardi e Biondini”. L’imprinting dell’idolo. “La loro lunga esperienza mi ha insegnato cosa significasse giocare e vivere a Cesena. Con i loro consigli ho superato le difficoltà tipiche di un diciottenne che si ritrovava catapultato in una realtà sconosciuta”.

“La chiusura di un cerchio”
Di quel diciottenne pieno di incertezze e insicurezze non rimane che la forgiante memoria. Nel mezzo si sono alternate categorie, campionati ed esperienze. Che oggi sono strette al ragazzo da un pezzo di stoffa che per Ciofi è il più gratificante dei trofei. “Quando mi è stata data la fascia di capitano non volevo crederci. Io ho sempre cercato di dare il buon esempio, ma con quella sul braccio cambia tutto”. Non un peso. Nemmeno una responsabilità. Essere insignito del ruolo di capitano è un dono. E come tale: “Io indosso la fascia con rispetto. Non sono io a dover giudicare se sia all’altezza di portarla, ma finché l’avrò la terrò stretta, me la godrò e cercherò, in qualsiasi maniera, di onorarla”. Le parole e le emozioni di capitan Ciofi sono un flusso travolgente. È a casa sua. Può sentirsi libero. Sfogarsi. “Il giorno della promozione in Serie B due anni fa è stato molto particolare…”.
Seguiamo lo sguardo. La Curva Mare illuminata dalla rigogliosa luce del sole di mezzogiorno si apre davanti a lui. Sorriso spontaneo. “La palla che entra in porta, il boato del Manuzzi, la gente che esulta: è stata una liberazione. Ci siamo andati vicinissimi per anni. Per me è stata la chiusura di un cerchio: sono arrivato con il Cesena in fallimento al termine del campionato di Serie B e ho contribuito a riportarcela. Indimenticabile!”. La commozione di quegli istanti è l’ossigeno che spinge l’uomo, prima del professionista, oltre ogni ostacolo. Anche quelli innocui. “Non so cosa mi sia venuto in mente (ride ndr.). Al gol vittoria mi sono tuffato in mezzo ai tifosi della Mare saltando i cartelloni”. Ma il destino, forse, avrebbe voluto qualcosa in più. “Ancora non ho mai chiesto allo speaker dello stadio perché abbia assegnato la rete a me (ride ndr.), fatto sta che urlava il mio nome, ma aveva segnato Pierozzi (Edoardo ndr.)”.
Libertà: “grazie mamma, grazie papà”
La brezza tipica di settembre smorza l’eccesso di calore emotivo. Tuttavia, l’impressione è che il climax debba ancora arrivare. “In quel momento ho pensato subito ai miei genitori”. Ogni intervento sarebbe superfluo. Veniamo avvolti da un vortice di sentimenti indecifrabili. “Per me sono stati essenziali. Mi hanno sempre aiutato, fornito consigli, ma sempre con la giusta distanza. L’aiuto più grande che mi hanno dato è stato a godermi l’avventura. Mi lasciavano libero di decidere e divertirmi che da bambino o ragazzino era fondamentale”. La bozza dell’uomo.
“La passione per il calcio? Merito di mamma. Era una giocatrice professionista. Da piccolo non perdevo mai le sue gare. Avevo il posto fisso in tribuna insieme a mio padre”. Ma le partite più belle sono altre. “Appena aveva un momento libero prendevamo il pallone e cominciavamo a giocare per ore in giardino”. La vita è un viaggio bellissimo. “Conosco la sua passione. Quando il Cesena gioca in casa non si perde una partita. Se riesce mi segue anche in trasferta. Vedermi esordire in Serie B è stata per lei un’emozione unica quanto lo è stato per me sapere di averla resa orgogliosa. Ogni sabato scendo in campo anche con e per loro”. Pausa. Armonia del silenzio.

Ritrovarsi
“Ho cominciato come tanti nella squadra vicino casa” – racconta. Morena, quartiere dell’area sud-est di Roma nell’VIII Municipio di Roma Capitale, è lo schizzo più realistico dell’Andrea che abbiamo davanti. E come ogni bozza, cancelli, provi a sostituire, butti, ricominci. Per poi accorgerti che la prima soluzione non ha eguali. “Stento ancora a crederci. Cesena non smette di stupirmi. Oggi mi ritrovo a giocare in Serie B insieme a Gianluca (Frabotta ndr)”. La dolcezza dello stupore. “Per noi è un sogno che si realizza. Siamo entrambi di Morena; Gianluca abitava a centro metri da casa mia, ci trovavamo ogni giorno al parchetto vicino casa, ma ci siamo conosciuti solo alla scuola media. E da lì non ci siamo mai separati”. Promesse. Forse desideri. Belli. Semplici. Limpidi. “Entrambi abbiamo lasciato Roma molto giovani. Eppure, nonostante fossimo distanti, ogni inizio stagione, ci ripetevamo che un giorno avremmo giocato nella stessa squadra. Che lui fosse in categorie superiori non contava: era il nostro sogno”.
La vera amicizia è quella che sa come valorizzare le emozioni più autentiche. “Mi ha tenuto nascosto tutto fino all’ultimo (ride ndr.)”. “Ciao Andre, mo arrivo a Cesena! – Mi ha comunicato che sarebbe venuto a giocare qui quando era già in viaggio verso la Romagna. È stata una gioia enorme”. Sensazioni che porti dentro. “Ancora oggi in spogliatoio ci guardiamo negli occhi chiedendoci se sia tutto vero. Con Gianluca ogni istante ha più valore. Ce li godiamo tutti ridendo, parlando e scherzando. E mi auguro che possa durare per molti anni”. D’altronde, dal prato del parco giochi a quello degli stadi della Serie B cosa cambia? “Noi siamo sempre quelli del parchetto di Morena”. Certo, poi per consolidare il rapporto servono anche le garanzie: “Chiaro! È romanista pure lui”.
“Capitano…”
Se sul Ciofi calciatore ci sarà ancora molto da raccontare, sull’Andrea tifoso non si scappa. “Il cuore è sempre stato giallorosso – dichiara con la freddezza degna di chi imbraccia un badile senza timore per liberare una città dalla coltre di fango: fatto -. Nei Ciofi esiste solo la Roma”. E a parlare di fede, forse, non si commette un’eresia. “Il calcio nella Capitale va oltre tutto. Una vittoria o una sconfitta della Roma la domenica cambia la settimana di tutti i lavoratori”. Perché Roma è così: stretta nella sua storia. Cullata fra l’alternanza di epoche e gesta di personaggi divenute icone. “Ciò che è stato Francesco Totti per Roma, per i romani e i romanisti è qualcosa che va oltre l’incredibile. È stato capace di rappresentare una città così grande, variegata e passionale come nessun’altro. Forse si esagera, ma per figure come lui provi amore e ammirazione”.
Rispetto. “Dedicare una carriera intera alla stessa maglia è la scelta di vita più bella che un calciatore possa fare. Ma è diventata l’eccezione. Guardando il Capitano, ma anche De Rossi, prima dagli spalti dell’Olimpico poi da vicino durante gli allenamenti in prima squadra mi sono ripetuto spesso che sarebbe meraviglioso anche solo avvicinarsi a quello che hanno fatto loro”. Già, l’Olimpico… “Quel 27 maggio 2017 ero lì. Il saluto in lacrime di Totti al suo stadio, alla sua gente mi è entrato dentro. È il ricordo più triste, ma era giusto così: nessuno dimenticherà ciò che ha significato per Roma e per il calcio italiano”. Tutti quel giorno avrebbero “sperato de morì prima”. E dopo le domande, Andrea, ci sono le risposte. “A Cesena mi rivedo in tutto questo. Città e società mi hanno aperto porte che non vedevo nemmeno io. Per quel che sarà nelle mie facoltà cercherò di restituire tutto l’amore possibile”.

Godersi l’avventura
Casa. Nido dal quale aprirsi alla vita. “I primi anni nel settore giovanile della Roma sono stati molto stimolanti. Sono entrato a 9 anni dopo aver superato tutti provini. Quando mi hanno confermato ero esaltato. Andavo all’Olimpico a vedere le partite e il giorno dopo mi allenavo a Trigoria”. Brividi. “Devo ringraziare i cinque anni con mister Roberto Muzzi perché mi hanno permesso di capire che avrei avuto qualcosa da dare a questo sport”. Capita che anche a casa lo spazio si restringa. “Dagli allievi alla Primavera è cambiato tutto. Giocavo poco ed è stato il motivo per cui ho scelto di venire a Cesena. In quella Primavera giallorossa giocavano ragazzi come Davide Frattesi. Un calciatore che mi ha impressionato fin dal primo giorno – confessa Ciofi –. L’avevo incontrato come avversario diverse volte perché faceva parte del vivaio della Lazio, ma solo quando è venuto da noi ho realizzato veramente quanto fosse forte”. Che anche sbalordirsi ancora Andrea…“Venivo da un settore giovanile giallorosso insieme a Scamacca e Luca Pellegrini… (ride ndr.)”.
Così, tra la batosta della prima realtà e un ignoto divenuto casa, anche il tempo delle domande finisce. “Non ho mai voluto esagerare nelle aspettative. Non metto limiti alla mia carriera, ma non ci penso. Spero in un futuro sempre più in alto per rendere il Cesena una società sempre più forte e credibile. Intanto, continuerò a godermi l’avventura”. Perché, in fondo, da casa non ci si allontana mai del tutto. Grazie dell’ospitalità, Andrea. Ad maiora. Anzi, “a t’ salut”.