Voleva smettere, ora è in Nazionale: l’esempio di Luis Alberto, quando la testa è tutto
C’era una volta un Luis Alberto triste e infelice, incapace
“di sentirsi ancora un calciatore”. Ostaggio di sfiducia e
malumori personali. C’era una volta un Luis Alberto che pensava di lasciare tutto, dire
adiòs alla Capitale, intrappolato in un tunnel di mancata considerazione. Isolato,
perso, perfino vuoto. “Qualcosa non andava, nella testa e nelle gambe”. C’era una volta un
Luis Alberto che “vedeva tutto nero” e adesso non c’è più. Favola
finita, lieto fine dei più belli. Perché quello di oggi è un Luis Alberto rivelazione che viene convocato dalla Spagna. Prima volta, sogno realizzato: “Grazie
Lazio. è merito tuo”. E grazie a Inzaghi, capace di valorizzarlo fin dal primo giorno di
ritiro: “Tu non te ne vai”. Perché
Luis Alberto aveva bisogno di sentirsi importante. Proprio in quel momento lì, pieno di dubbi e di paure. Proprio ad Auronzo. Ora è storia: regista, mezz’ala, fantasista, seconda
punta. C’era una volta un Luis Alberto che faceva l’esterno, il
“vice-Candreva”. Oggi gioca dietro Immobile e non si può sostituire, se
resta in panca entra nel secondo tempo. Metamorfosi, da “deve ancora
adattarsi alla Serie A” a “gli dovrò trovare un posto anche con Nani e Felipe Anderson”. C’era una volta un Luis Alberto
“bloccato di testa”. Oggi può fare tutto e pensa pure ai Mondiali:
“E’ un mio obiettivo”. Non parla più di sogni, li lascia agli altri.
Lui lavora e sorride, fantasioso come quel ciuffo biondo pettinato un po’ così,
tirato fuori in un momento in cui la giostra è iniziata a girare per davvero.
Pure in famiglia, dove presto avrà un secondo figlio da Patricia: “Non
posso stare senza di lei”. Faro, punto di riferimento come il suo
mental coach, Juan Campillo, che l’ha ripreso in tempo in tempo: “Era
spaesato, insoddisfatto. Poi è cambiato tutto”. Merito di una titolarità
conquistata con fatica, qualità, fraseggi. Una vittoria in Supercoppa da
migliore in campo: “Ora sono io”. Lunga vita alle statistiche: 16
gare, 7 assist, 3 gol, più di 30 occasioni create, più verticalizzazioni di
tutti in Serie A. Onnipresente. Al Siviglia, quand’era piccolo, gli davano
sempre la “numero 10 perché coi piedi era il più bravo”. Timido,
introverso, il contrario di quel fantasista strafottente contro il mondo. Lui, no. Luis Alberto è uno a cui piace stare in casa, andare a cena
con la famiglia, ama il padel e le patatine fritte con le uova. Inzaghi l’ha fatto diventare il
miglior fantasista della Serie A, Tare l’ha preso per un pugno di milioni e
oggi se la ride. Intuizione vincente. Lopetegui, dopo un inizio da star, l’ha chiamato
per la prima volta con la Roja per due gare amichevoli: “Era il momento
adatto”. La ruota gira. C’era una volta un Luis Alberto che voleva
smettere. Oggi non c’è più, oggi è un esempio, oggi è davvero lui. Con quel ciuffo biondo lì.