Dalla Nazionale al Chievo: la giornata di Ventura
Presentazione di Ventura sulla panchina del Chievo, il racconto della giornata: il ct più discusso di sempre ha girato pagina più in fretta dell’Italia
Da Ventura a Ventura. L’avevamo lasciato nel post partita del Meazza, tutti gli occhi d’Italia puntati addosso, feroci. Il ct teneva lo sguardo basso, un sospiro pesante ogni due battute: faticosi sussurri, più che dichiarazioni, a rimarcare l’affanno di dover spiegare il fallimento nazionale molto più grande di lui.
Oggi, poco meno di un anno dopo, di quel Gian Piero Ventura non c’è traccia. L’uomo che troviamo a Veronello, in occasione della presentazione ufficiale da allenatore del Chievo, sembra sereno e a suo agio. Lo fa capire sin dalle prime battute (“Mi aspettavate, eh?”). Aiutato dalla nuova occasione che, dopo quel nefasto 13 novembre, finalmente è arrivata. E forse anche dall’audience davanti a sé: senz’altro curiosa, ma non soffocante.
Il clima è disteso, e lui entra subito nella parte. Pochi convenevoli – la conferenza parte subito -, ma il modo di fare è affabile, da zio. Quello conosciuto a Bari e a Torino. Disinvolto con la stampa, ride e scherza con il presidente Campedelli, che sembra già stravedere per lui: “Avere un profilo simile sulla nostra panchina è innanzitutto un onore”.
Tanta fiducia attorno e possibilità quotidiana di fare calcio. Il suo calcio. Ventura insiste a più riprese su questo punto, trovando la piazza veronese ideale per ripartire con un progetto di lungo termine. Lui si è già calato nella parte: con la comoda tuta societaria addosso, sembra che sia l’allenatore del Chievo da una vita.
E la classifica disperata? Uno stimolo elettrizzante, paradossalmente una fonte di leggerezza: “Dobbiamo fare un’impresa, partendo da -1 con 30 giornate da giocare: cosa succede se ce la facciamo?” Ventura, intanto, sta già cercando casa a Verona.
Quando poi, inevitabilmente, si tocca il tema Italia, l’ex ct lo affronta con un certo distacco. Ci tiene a ribadire che l’accanimento collettivo è stato più contro l’uomo che contro l’allenatore, e di averne sofferto più da uomo che da allenatore. Ma adesso, auguri di cuore a Mancini, il capitolo è chiuso. Anche dentro di lui. E quasi gongola, rivivendo gli ultimissimi mesi: quelli del flop mondiale di Germania, Spagna e Argentina. Addirittura canzona Sampaoli (“è un allenatore? Eppure lo strapagavano”). Il concetto che Ventura vuol far passare però è chiaro: il blasone non basta, sono tempi duri per tutti, “mi trovavo nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Un dribbling alle critiche e alle responsabilità.
Che sia tutta una maschera, preparata ad hoc dopo mesi di sofferta riflessione? Dopo la conferenza c’è l’allenamento pomeridiano, che ci potrebbe dare qualche spunto più genuino a riguardo. Ma le porte sono tassativamente chiuse e Ventura di più non si svela.
Si cerca di strappargli una battuta finale, chiedendogli se riesce a non sentire il segno di Italia-Svezia sul nuovo inizio. Lui risponde che sta bene veramente. Che ha avuto diverse opportunità di scegliere una panchina più importante, ma ha preferito il Chievo. Una dimensione dove poter lasciare il suo segno, senza obbligo di vittoria. Un punto da cui ripartire. Per l’ennesima volta nella sua carriera.