Urban, il folletto friulano che fece innamorare Cosenza. “Il derby col Catanzaro vorrei giocarlo sempre”
A volte la fantasia deve fare un giro più lungo per trovare casa. Attraversare una nazione intera, dal Friuli alla Calabria, per trovare il luogo perfetto in cui esprimersi. Quando lo trova, però, lascia segni indelebili. Alberto Urban, quel posto, lo trovò a Cosenza a metà degli anni ’80. Tre stagioni meravigliose: una promozione in serie B al secondo anno e un assalto folle al Paradiso della A, svanito per un misero punto. “È stato amore a prima vista con la città. Dal primo momento. Evidentemente ero già meridionale quando sono sceso”, scherza al microfono di gianlucadimarzio.com il trequartista che faceva impazzire il San Vito.
L’ARRIVO A COSENZA, LA PROMOZIONE IN B, IL 29 MAGGIO ‘89
Capelli al vento, difensori saltati in scioltezza e un attaccamento viscerale alla maglia rossoblù. “Da quella gente ho ricevuto più di quanto ho dato. Sono arrivato dalla Cavese nell’86. Zeman mi voleva a Foggia, ma alla fine scelsi la Sila”. Un acquisto voluto da mister Liguori, che lo aveva avuto a Cava dei Tirreni l’anno prima. Ma il sodalizio durò poco: esonero del tecnico e squadra affidata a Gianni di Marzio. “Abbiamo cambiato marcia e l’anno dopo abbiamo fatto una cavalcata storica. Che ricordi quel 29 maggio del 1988: penultima giornata, 25mila persone al San Vito. Una città dipinta coi nostri colori”. Un entusiasmo impossibile da tradire: 2-0 contro la Nocerina, partita sbloccata proprio dal numero 10. Mancava ancora un punto, ma ormai era serie B, 24 anni dopo l’ultima volta. “Non ho mai sentito un rumore così continuo e assordante come quel giorno. È stato un brivido continuo, dall’arrivo allo stadio, alla rete, al giro di campo finale”.
IL CATANZARO, LA SERIE A SFUMATA ALL’ULTIMO
Vincere quel campionato significava anche raggiungere il Catanzaro fra i cadetti. Di nuovo derby. Allora, come domenica prossima. “È la partita che un calciatore vuole sempre giocare. Inizia due settimane prima ma se la vinci, può cambiarti il cammino. Perdemmo il derby di B per 3-0, ma ci diede la scossa e da lì puntammo alla promozione. Maledetta classifica avulsa, ancora ci penso”. Sì perché il gruppo guidato da Bruno Giorgi rimase fuori dagli spareggi promozione, arrivando a pari punti con Cremonese e Reggina. Un arrivo a tre che penalizzò il Cosenza, beffando la squadra che aveva ottenuto più vittorie. Se ci fossero stati i 3 punti, introdotti solo a metà degli anni ’90, sarebbe stata promozione. “E ce lo saremmo meritati. Perché avevamo una grande squadra: da Michele Padovano, un ragazzo d’oro che sta pagando una situazione in cui è caduto ingenuamente dalla quale mi auguro che esca al più presto, a Luigi Simoni, il portiere dei record”.
DENIS BERGAMINI, IL CASO MAI RISOLTO
E poi, naturalmente, Denis Bergamini. Il 18 novembre ricorrono 28 anni dalla sua scomparsa. Negli scorsi giorni è stato depositato il risultato della perizia sulla sua salma riesumata. Ed è una verità sconvolgente: il numero 8 rossoblù morì per soffocamento e non suicidandosi sotto un camion. “Ho passato con lui tre anni. Era un ragazzo buonissimo, come pochi. Talmente pulito che non ho mai capito come potesse aver fatto del male a qualcuno. Credo alle prove che vengono portate adesso, ma non so davvero cosa sia successo in quei mesi perché non giocavo più in Calabria”. Urban era infatti andato al Genoa, per la sua unica stagione in serie A, terminata con 20 presenze e 2 reti, nella stessa gara contro l’Atalanta. Eppure proprio qualche giorno prima di quel tragico 18 novembre, Alberto rivide Denis per l’ultima volta. “La serie A riposava, così andai a Monza a vedere il Cosenza. Ero vestito leggero perché a Genova c’era un clima tiepido. In Brianza decisamente no. Denis vide che tremavo dal freddo e mi prestò il suo giaccone, quello della squadra. C’era tutto lui in quel gesto: sempre pronto ad aiutare gli altri, in campo e fuori. Correva per tutti, era il nostro motorino”. Un rapporto speciale fra Alberto e Denis, vicini “nelle figurine doppie della Panini e nelle posizioni in campo”, complementari e ugualmente fondamentali in quel Cosenza.
IL PROSSIMO DERBY, MARULLA
Una squadra molto diversa da quella che domenica affronterà il Catanzaro in trasferta. “Non c’è un grande budget, ma la società sta facendo bene. Con i costi di oggi, è difficile mantenere una squadra a certi livelli. Conservare la categoria in questo momento è l’obiettivo”. Insieme, ovviamente, a vincere il derby. “Sono fiducioso, perché il Cosenza è più forte come organico e mi fido di Braglia, un allenatore che conosce bene la categoria”. E in fondo di fronte non ci saranno gli spauracchi di una volta. “Palanca era terribile (leggi la nostra intervista al “re del vento”, come lo chiamavano a Catanzaro). Nell’86 ci fece una doppietta letale. Avrei voluto stringergli la mano a fine partita, ma in un derby non si fanno i complimenti”.
Simboli eterni, come Gigi Marulla, l’uomo a cui è intitolato oggi il San Vito. Bomber cosentino di tutti i tempi e scomparso per un infarto due estati fa. “Per una maledetta birra ghiacciata”, ricorda Alberto che lo ha frequentato solo a fine carriera: colleghi sulla panchina delle giovanili rossoblù a fine anni 90, bandiere cosentine in ruoli diversi. “Oggi la sua eredità è passata al figlio Kevin, team manager della prima squadra. Una persona perbene, lo specchio del padre. Per la città, avere un Marulla in società, è un tesoro importante”.
URBAN OGGI, ALLENATORE IN ECCELLENZA, LA FAMIGLIA
Urban invece oggi allena a Venafro, nel campionato di eccellenza molisana. È quarto in classifica, con una società ambiziosa che mira a valorizzare i giovani. “Mi diverto e cerco di trasmettere ai ragazzi le mie competenze. Bisogna lavorare sulla tecnica individuale, a partire dalle scuole calcio. Ma è possibile che in Italia nessuno sappia più saltare l’uomo? Bisogna allenare i più giovani alla fantasia, a perdere qualche palla magari, ma occorre tornare a divertirsi”. Il discorso alla fine cade anche sul tracollo azzurro. “Insigne era il giocatore di maggiore talento che avevamo e l’abbiamo tenuto fuori. Per paura, forse, ma il guaio è che non vedo grande ricambio in giro. Ed è colpa delle società e degli allenatori giovanili che pensano ai risultati immediati. A Cosenza, quando allenavo i ragazzi, il presidente Pagliuso telefonava per informarsi dei singoli. Il punteggio finale era irrilevante rispetto alla crescita individuale. Dovrebbe essere la regola, ma non è così”.
Alberto Urban resta un trequartista, almeno nella mente, anche a 56 anni. Ha una moglie, Lucia, con cui vive a Vietri sul Mare e una figlia di 25 anni, Francesca, laureata in Fisica. È un uomo che ha realizzato i suoi sogni e, in passato, quelli di Cosenza. Un numero 10 friulano che ha fatto ballare il San Vito prima degli anni ’90.
Claudio Giambene