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Svezia-Inghilterra, filosofie a confronto

Guardando solo i club di provenienza dei 46 convocati di Inghilterra e Svezia quasi si farebbe fatica a distinguere le due nazionali. Andersson ne ha portati 5 dalla Premier League e nessuno dal campionato svedese. Tutto il contrario dell’Inghilterra, che non ha nessuno che giochi all’infuori della Premier. E pensare che tra le due nazionali quella più ‘inglese’ sembra proprio la Svezia. 4-4-2 semplice e efficace: copertura totale del campo e palla in avanti alla ricerca del guizzo giusto. D’altronde Andesson non ha fatto mistero di ispirarsi da sempre al caro e vecchio ‘football’ d’oltremanica: “Siamo cresciuti con quel tipo di calcio e considero l’Inghilterra la mia seconda nazione”.

Un legame, quello tra il calcio svedese e inglese, nato da lontano e quasi per caso. Merito di un giornalista svedese andato in Inghilterra per un servizio sulla caccia alla volpe e tornato in patria innamorato del calcio inglese dopo aver visto una partita di Premier League. Da lì dicono sia nato tutto, e non è un caso che Sven-Göran Eriksson, uno dei migliori allenatori svedesi, abbia allenato per 5 anni la nazionale inglese, pur non convincendo mai pienamente.

Oggi pomeriggio però non ci sarà spazio per i ricordi, a Samara i legami saranno ridotti al minimo. L’Inghilterra per tornare grande dovrà superare la Svezia ammazza-big. Che sembra aver trovato la sua dimensione ideale dopo l’addio della star Ibrahimovic, figura ingombrante all’interno di uno spogliatoio mai abbastanza solido per reggerne la grandezza. Oggi niente stelle, poche individualità di rilievo. Ma un collettivo affiatato.

Granqvist, che ha preferito rimanere in Russia perdendo la nascita del figlio. E c’è anche il talento di Forsberg nel segreto della rinascita della Svezia. Il timido anti-Zlatan che da piccolo doveva giocare ad hockey sul ghiaccio ed è diventato eroe segnando il gol decisivo con la Svizzera. O Berg, l’attaccante che non ha ancora segnato ma che è diventato lo stesso idolo degli svedesi per il suo amore viscerale per la patria riversato anche nelle lacrime nella vittoria post-Svizzera, immortalate da un video diventato virale sul web.

golden generation’ inglese, vicina a ripetere l’impresa del 1966, apice di un calcio che non è mai più riuscito a trovare conferme a livello internazionale. Questa volta però potrebbe essere diverso. Perché c’è un po’ tutto. C’è il talento, c’è la voglia e il coraggio. C’è un gruppo unito guidato da un allenatore distinto e preparato. Capace di svecchiare un calcio rimasto forse sempre troppo ancorato alle origini.

Gareth Soutghate è diventato icona di stile e ha addirittura fatto tornare di moda il panciotto. Ha tenuto sveglia la squadra fino alle 6 del mattino dopo la vittoria con la Colombia per una seduto psicoanalitica. Ma più di ogni altra cosa è riuscito a dare un’identità alla sua Inghilterra. Che un po’ sembra quella del ’66. Con Pickford che para come Banks e Kane sulle orme di Bobby Charlton. Indizi che ancora non portano ad una prova , ma che fanno bene sperare per il futuro inglese.