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Dai kilt di Parigi a Euro 2020: la ‘vecchia’ Scozia è tornata

Tensione accumulata per 22 anni. Basta un rigore per spazzarla via. David Marshall para, i compagni rompono le linee e scattano verso di lui. Eppure il portiere è di ghiaccio. Guarda verso l'arbitro, lascia parlare i guantoni: "Ferma tutto, fammi capire, pollice in su oppure no?". Attimi di tragicommedia, lo spauracchio del Var sulla sua posizione di partenza. Check over. La Scozia è qualificata a Euro 2020.

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A Belgrado, impazzisce la stampa di Glasgow, it wasn't Red Star Stadium. It was dark blue. Qualche numero per far capire la dimensione dell'impresa: la nazionale più antica del mondo insieme all'Inghilterra – leggendaria la prima sfida ufficiale nel 1872, in piena epoca vittoriana – non partecipava a un Europeo dal 1996. Alla fase finale di un grande torneo, dai Mondiali di Francia 1998. L'Ottocento era stato il secolo dell'avanguardia (solo 2 ko nelle prime 43 gare disputate), il Novecento quello della tradizione in declino (ma comunque presente: 10 caps tra Mondiali ed Europei). Il nuovo millennio mai pervenuto.


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"Mi sembrava normale…"

Fino a ieri. Spalmato su tre secoli, simbolo perfetto, c'è anche il match winner contro la Serbia: 'old Marsh' ha 35 anni ed è alla 40esima gara con la maglia della Scozia, dove debuttò nel 2004. 16 anni e 3 mesi di carriera. A Belgrado, David è diventato il calciatore della nazionale più longevo di sempre superando il lontanissimo record di Ned Doig, portiere di un altro calcio fra 1887 e 1903. "Sembra passato tutto in un attimo", ha raccontato Marshall, che oggi gioca con il Derby County in Premiership, ai microfoni della FIFA poche ore prima del big match.

"Ero solo un bambino quando guardavo la Scozia a Euro 96. E poi in Francia: i tifosi in kilt a Parigi, il pareggio sfiorato contro il Brasile. Ai grandi tornei dell'epoca noi c'eravamo. Mi sembrava normale". Non sarà così, lo imparerà presto. Marshall vive la Tartan Army mentre questa sparisce dai radar: "Penso che le mie prime cinque partite siano state sotto cinque allenatori diversi. Sono andati e venuti tanti buoni giocatori, ma non abbiamo mai avuto un gruppo come quello di oggi".


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Road to Wembley

Scott McTominay dello United e capitan Andy Robertson, i giocatori più rappresentativi. L'alchimia giusta con Steve Clarke, storico vice di Mourinho al Chelsea, in panchina (e nuove regole in spogliatoio): nel girone di qualificazione gli scozzesi arrivano terzi dietro Russia e Belgio, prendono fiducia in Nations League (dove oggi sono primi in 'serie' B) e arrivano di slancio agli spareggi. Ai rigori si inchina prima Israele – con Marshall già decisivo su Zahavi -, quindi la Serbia di Milinkovic e Jovic.

"Lacrime dappertutto. Questi ragazzi se lo meritavano: dimenticatevi di me, sono solo il ragazzo fortunato che cammina davanti a loro". Con il Liverpool, Robertson ha vinto tutto: Premier, Champions, Mondiale per club. Ma la nazionale – Pandev docet – è qualcosa di diverso. "Difficile da spiegare", dichiara il terzino nel postpartita. "Sentiamo davvero quanto possiamo aver dato alla nostra gente in un momento così difficile. Spero che a casa facciano festa, perché se penso a quanto tempo è passato dall'ultima volta mi viene da piangere".


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Per Andy il 2020 è l'anno dei tabù sfatati, senza 'nessuno' attorno. Ma sui social i tifosi si sono già scatenati. A suon di Flower of Scotland: l'inno simbolo ormai associato alla nazionale di rugby. Da Murrayfield, la musica è pronta a tornare anche a Hampden Park, dove i ragazzi di Clarke avranno l'occasione di giocare in casa due partite della fase a gironi di Euro 2020, contro Repubblica Ceca e Croazia. La terza, a Wembley contro l'Inghilterra. Come nel '96. Come era sempre stato.