“La vita fa schifo”. Ora è campione d’Europa: la favola di Robertson
Nel 2012 si sfogava su Twitter. Giocava nella terza divisione del calcio scozzese e si manteneva lavorando allo stadio. Ora è campione d’Europa con il Liverpool: che storia quella di Robertson
“La vita a questa età fa schifo senza soldi". Hashtag #needajob. Data agosto 2012, firma? Andrew Robertson, da qualche ora campione d'Europa con il Liverpool. Il calcio, la Champions. Sullo sfondo una storia bellissima. Quella di un venticinquenne che però, qualche anno fa, aveva smarrito il sorriso con cui ha alzato al cielo una coppa che per lui vuole dire molto. Forse di più anche rispetto agli altri.
Sette anni fa Andrew giocava nella terza serie del campionato scozzese. La maglia era quella del Queen's Park e tutto il mondo si preparava ad osservare con grande curiosità i Glasgow Rangers, naufragati in Third Division a causa del fallimento.
Tante telecamere puntate addosso dunque. Un colpo di fortuna anche per un ragazzo che forse aveva smesso di sognare. Robertson aveva stipulato una specie di accordo con i suoi genitori: "Datemi ancora un anno di tempo, poi vediamo". Nel frattempo, per non dipendere da loro, si era messo a lavorare ad Hampden Park, lo stadio che ospita le gare della nazionale scozzese, rispondendo al telefono per prendere ordini d’acquisto di biglietti, di concerti e partite di calcio.
Non proprio quello che sognava. Lui che era entrato nelle giovanili del Celtic a soli 9 anni. Il massimo per un ragazzo di Glasgow. Il suo mito era Henrik Larsson, non un esterno come lui ma un attaccante. Come suo fratello Stephen, da sempre considerato il più bravo in famiglia e che ora non ce la fa a finire una partita di calcetto senza fare i conti con innumerevoli dolori.
Gli stessi che provava Andrew dopo i tanti allenamenti in palestra. Dava l'anima con i pesi, non mollava di un centimentro quando usciva per correre. Era esile e lo sapeva, per questo cercava in tutti i modi di vincere questa battaglia contro il tempo. Che però, in un primo momento, lo ha visto sconfitto. A 15 anni, infatti, la dirigenza del Celtic lo convoca negli uffici del centro sportivo: "Too small" Gli dicono: "Sei troppo piccolo". Tradotto: qui non c'è più spazio per te, arrivederci.
Di lì il tweet tutto rabbia e delusione di cui sopra. Amarezza sì, rassegnazione mai. Con il Queen's Park non fa una stagione indimenticabile, anzi. Arriva perfino a dubitare di sè stesso, ma poi nel luglio del 2014 – dopo un grande campionato con il Dundee United in Premiership – arriva l'occasione della vita. Gliela fornisce l'Hull City, che gli fa firmare un triennale e che lo fa esordire in Premier.
Da lì è una cavalcata continua, fatta di tanti assist e chilometri macinati sulla fascia. Nell'estate del 2017 la chiamata di Klopp, che lo ama: "Adoro la sua storia, il suo percorso professionale per raggiungere questo punto" dice. Con quella di Madrid Robertson ha giocato la sua seconda finale di Champions consecutiva. Dopo la delusione di Kiew, la gioia del Wanda Metropolitano. Che effetto guardarsi indietro.