“Ho ancora i brividi”: Rosella Sensi e l’ultima Roma campione d’Italia
Il 17 giugno 2001 la Roma vinceva il suo terzo scudetto. A raccontarci quel giorno e quella stagione ci ha pensato la figlia dell’ex presidente Franco e allora a.d. del club
“Se chiudo gli occhi vedo lo stadio Olimpico pieno, in festa. Ricordo ogni sensazione di quel giorno”. Suoni, colori, emozioni. Trionfo. Nella mente di Rosella Sensi, quel 17 giugno 2001 è impresso in maniera indelebile: “Una giornata calda, di sole. Mi ricordo tutto. E mi vengono ancora i brividi”.
Franco presidente, Rosella amministratore delegato. Una Roma nel segno dei Sensi, allora, che proseguirà con Rosella al timone del club dal 2008, dopo la scomparsa del padre. Ma oltre certi ruoli, come racconta ai nostri microfoni, Rosella è sempre stata una “tifosa a tempo pieno”.
Per questo il ricordo di quel giorno si fa ancora più intenso: “Da romanista è difficile descrivere a parole una sensazione come quella di vincere uno scudetto nella nostra città, in quel modo, con l'ultima partita decisiva all'Olimpico”. Se spesso si dice che un successo a Roma ne valga dieci da altre parti, non sarà certo un caso.
PROGETTO, RIVALSA E TANTO CUORE
La stagione 2000/2001 per la Roma inizia in maniera particolare. Solo pochi mesi prima una Lazio colma di campioni ha vinto il suo secondo scudetto. La città si è dipinta di biancoceleste, e il mondo giallorosso ha tanta voglia di rivalsa. Primo fra tutti, Franco Sensi: “Quella cosa lo ha irritato ed era dispiaciuto, da romano e romanista non poteva essere contento. I tifosi volevano vincere, e mio padre è sempre stato determinato nel farlo”. Ecco quindi una campagna acquisti incredibile. Samuel, Zebina, Emerson, ma soprattutto Gabriel Batistuta: “Ricordo la sua presentazione all’Olimpico, faccio fatica a pensare ad altri giocatori presentati con lo stesso entusiasmo”.
“Bati fu la ciliegina sulla torta di una squadra già forte, costruita anche negli anni precedenti. Da lì cominciò una stagione fantastica, avevamo campioni in ogni reparto ma bisognava dimostrarlo sul campo”. 75 punti, 22 vittorie, 9 pareggi e solamente 3 sconfitte. Ma con Juve e Lazio sempre col fiato sul collo. Campioni d’inverno, fino alla settimana tra il 29 aprile e il 6 maggio 2001 in cui la Roma si gioca tutto. Prima il derby: rimonta subìta da 2-0 a 2-2 con un gol di Castroman al 95’. Poi lo scontro diretto al Delle Alpi con la Juventus: 2-0 bianconero nei primi 6 minuti con Del Piero e Zidane, 2-2 finale grazie ai gol di Nakata e Montella tra 79’ e 91’. Stessi risultati, arrivati in maniera opposta. Dall’incubo al sogno: “La rimonta a Torino è stata la svolta”.
E il 10 giugno la Roma può vincere matematicamente il campionato. Si gioca al San Paolo contro il Napoli, ma i gol di Batistuta e Totti non bastano. Amoruso e Pecchia spengono momentaneamente i sogni di gloria giallorossi. Altro 2-2: “Quel pareggio frenò un po' gli entusiasmi, abbiamo dovuto soffrire fino all'ultimo minuto”. Ma forse, meglio così. Poter festeggiare lo scudetto all’Olimpico avrebbe un sapore diverso e ineguagliabile. L’attesa sale, e quella settimana passa in un lampo.
IL 17 GIUGNO 2001
È il giorno del giudizio. 17 giugno 2001, Roma-Parma, i giallorossi hanno un solo risultato a disposizione: “Tutto incredibile, a Roma si respiravano emozione e tensione. Dovevamo vincere, solo quello ci avrebbe dato la certezza dello scudetto” ricorda Rosella Sensi. I gialloblù sono quarti in classifica, già qualificati per i preliminari di Champions ma con tanti fenomeni pronti a rendere tutto difficile: “Erano uno squadrone, ma noi eravamo incredibili. C'era la mentalità, la voglia di vincere. Mio padre, e tutti noi, ci abbiamo sempre messo testa e cuore”.
“Quella squadra era determinata, e Capello è stato importante tanto quanto i calciatori. Li ha saputi motivare e mettere in campo alla perfezione. E poi c’era un grande presidente, che ha saputo organizzare e scegliere le persone giuste”. Creando negli anni un gruppo coeso “e un ambiente ideale per arrivare a vincere. Tutte le persone all'interno della società avevano lo stesso obiettivo. Papà poi ha sempre avuto rapporti diretti con i giocatori, ci teneva tantissimo e se ne occupava personalmente. Li ha curati e voluti vicino. Questo ha fatto la differenza”.
Totti, Montella, Batistuta. I tre tenori giallorossi portano la Roma sul 3-1. La fine si avvicina, ma a pochi minuti dal termine i tifosi cominciano già a invadere il campo. La partita viene momentaneamente sospesa, Capello e i giocatori sono infuriati: “C’era paura e tanta voglia di fare festa, e la grande tensione del momento portò a quell’invasione”. Confusione, ma alla fine tutti ai loro posti. Si riprende a giocare. Passano pochi attimi, e l’arbitro Braschi può finalmente fischiare tre volte. La Roma è campione d’Italia. Apoteosi, nuova invasione. Finalmente si può festeggiare a dovere.
“CE L’ABBIAMO FATTA”
80 mila persone corrono sul prato dell’Olimpico, chi strappa zolle di campo e chi le reti delle porte. Sanno bene di aver assistito alla storia: “I tifosi erano impazziti, così come mio padre. In tribuna non eravamo seduti vicini, avevamo dei posti che poi per scaramanzia abbiamo sempre tenuto. Ma al fischio finale sono salita su di corsa da lui. Mi mancava il fiato, quella gioia che ti toglie il respiro. Non riuscivo nemmeno a urlare. E papà mi disse: 'Ce l'abbiamo fatta'”. Lo scudetto di un popolo intero. “Era emozionatissimo, fu una cosa incredibile per lui. Per giorni festeggiò con mamma per tutta Roma. Mentre ne parlo ho le lacrime e i brividi”.
Una settimana di celebrazioni, fino alla festa del Circo Massimo. I giornali parlano di un milione di persone presenti, problemi di sicurezza, gente arrampicata su lampioni o rovine romane che fanno tardare il concerto: “C’era un numero incredibile di tifosi, non so quale altra squadra possa dire di aver potuto organizzare una cosa del genere. Una gioia meritata e indescrivibile. Pazzesco, ho la pelle d’oca”. Bandiere e colori non contano davanti alla storia.