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Paolo Guerrero, ultimo tango a Sochi. Il suo Mondiale lo ha vinto

Non doveva nemmeno giocarlo questo Mondiale per colpa della cocaina. Oggi il gol con cui potrebbe dire addio al Perù. Tatuaggi, follie e l’amore per la sua terra: Paolo Guerrero, una storia tutta da raccontare

Te amo Perù” Tatuato chiaro sul petto. Un amore viscerale per la sua terra, tanto da colpire con una bottiglietta in faccia un tifoso ai tempi dell’Amburgo. Gli aveva gridato “Tornatene in Perù“, a mo’ di offesa, troppo per uno come lui. Un bacio alla maglia che vale più di mille parole quello di oggi. L’ha fatto dopo aver segnato a Sochi il gol numero 36 della sua carriera in Nazionale Paolo Guerrero, lui che questo Mondiale non lo doveva nemmeno giocare. Colpa della cocaina. O meglio, di un suo metabolita. La squalifica della Fifa prima e del Tas poi a gettarlo nell’inferno. La versione di un tè contaminato urlata al mondo alla quale, però, nessuno vuole credere: “Mi hanno distrutto un sogno” Il suo sfogo dopo la sentenza.

Quello di giocare il Mondiale in Russia, il suo primo. L’obiettivo di una vita, fin da quando mise piede al collegio Los Reyes Rojos. Uno dei più illustri del Perù, un ostacolo più grande dei portieri avversari per un ragazzo cresciuto sì secondo i buoni principi di mamma Petronila, ma pur sempre in uno dei barrios più poveri. Sognava Russia 2018 fin da quando, nemmeno diciottenne, si trasferì dall’altra parte del mondo, in Baviera. A volerlo Gerd Muller, mica uno qualunque. Lo chiamava Teofilo Cubillas, come il campione assoluto del calcio peruviano con cui aveva avuto l’onore di giocare, e gli regalava un cioccolatino per ogni gol fatto. Ne farà 49 in 69 partite nelle giovanili, altri 13 fra i grandi. Forse tutti non li avrà mangiati.

Sognava il Mondiale fin da quando nel 1984 gli venne assegnato il nome Paolo. In onore di Paolo Rossi, che solo due anni prima, aveva trionfato in Spagna da capocannoniere. Quello sarà l’ultimo Mondiale del Perù fino allo spareggio vinto con la Nuova Zelanda e all’aereo per la Russia. Lo ha preso anche Paolo alla fine, grazie alla lettera che i capitani di Francia, Danimarca e Australia hanno scritto alla Fifa per far sì che la squalifica gli venisse momentaneamente sospesa. Ci è salito nonostante una paura di volare più che risaputa. Nasce da bambino, da quando sentì dal letto della sua cameretta le lacrime della madre, che piangeva per la scomparsa del fratello Josè. C’era anche lui sul Fokker F-27 della Marina Militare peruviana che l’8 dicembre del 1987 viaggiava verso l’aeroporto internazionale Jorge Chávez di Lima e che si inabissò al largo di Ventanilla. 43 vittime, tutte legate all’Alianza Lima, una delle squadre di calcio più importanti di tutto il Perù.

E’ il terzo calciatore sudamericano più vecchio a segnare in un Mondiale. Può essere stata l’ultima perla della sua bellissima avventura con la Nazionale, che ha trascinato a suon di gol per ben due volte sul podio della Copa America. Probabilmente non se lo sarebbe mai immaginato ad inizio 2017, quando in Perù è stato presentato un film che ripercorreva i primi anni della sua carriera. In una scena il giovane Paolo si trova sulla spiaggia di Copacabana e guarda il Paolo Guerrero “del futuro” che sta palleggiando: “Andremo alla Coppa del Mondo?” Chiede il più piccolo: “Ancora no” Risponde sorridendo il più grande. Le qualificazioni in Sudamerica erano ancora agli inizi allora e il Perù non aveva mai vinto nelle sei partite giocate. Insomma, non ci credeva nessuno

Sul collo si è tatuato un leone, l’animale che più lo rappresenta quando scende in campo: sportellate, grinta e fame i suoi punti di forza. “Nulla si sa, tutto s’immagina” La citazione leopardiana che si è fatto incidere sul ventre. Il suo mantra, che lo ha spinto sul tetto del mondo con il Corinthias nel 2012, quando con un suo piegò nella finale del Mondiale per Club il Chelsea di Benitez. Su quella panchina c’era Tite, che probabilmente in Russia ci starà per molto tempo ancora. Lui, però, il Mondiale lo ha già vinto. Mai come in questo caso partecipare è stata la cosa più importante. Con la Danimarca, all’esordio, subentrò dalla panchina. Sfiorò anche il pari con il tacco, nonostante le sole due partite ufficiali giocate negli ultimi sei mesi sulle gambe. Oggi con l’Australia il gol e l’assist che hanno permesso al Perù di uscire dal torneo a testa altissima. Il ringraziamento più bello che potesse fare al suo popolo, sceso in piazza per festeggiare la sospensione della squalifica e così entusiasta per la qualificazione al Mondiale da spingere il governo a proclamare, dopo lo spareggio con la Nuova Zelanda, due giorni di festa nazionale. Corse e tafferugli anche per aggiudicarsi gli ultimi pacchetti delle figurine Panini, perché le facce di questo Perù nessuno voleva perdersele. Storie di brividi ed emozioni, il miglior serbatoio possibile che Paolo potesse costruirsi per poi attingerci nei momenti di difficoltà che verranno. Perché la squalifica c’è ancora e il futuro è incerto. Ma lui oggi è tornato a sorridere. Non lo faceva da un po’ di tempo.