Mudingayi: “La Lazio una famiglia, ma quello scherzo di Di Canio…”
Il calcio scoperto un po' per caso, la consacrazione tra Lazio e Bologna, l'avventura all'Inter del post-triplete…ma guai, a sguinzagliarlgli un cane alle calcagna. Gaby Mudingayi senza filtri si racconta così a Casa Di Marzio: "Ho iniziato a giocare tardi, prima dei 15 anni non sapevo cosa fosse il pallone", rivela l'ex centrocampista, oggi 38 anni. "Fu mio padre a spingermi: in Belgio lo studio non andava benissimo, stavo tanto fuori con gli amici e allora mi impose di fare sport. Volevo iniziare col pugilato, ma non mi è stato permesso. Così ho provato il calcio e mi è piaciuto. All'epoca non avrei mai pensato di diventare professionista".
Invece il ragazzo ha corsa e senso tattico, si affaccia ad alti livelli con la maglia del Gent e poi nel 2004 arriva la chiamata del Torino. La svolta: "Lì ho imparato a conoscere veramente il calcio italiano, la sua lingua e la sua gente". Una stagione e mezza in Serie B, la gioia della promozione stroncata dal fallimento societario: "Era una grande squadra", ricorda Mudingayi. "Pinga, Quagliarella, Balzaretti. Non avevo nessuna voglia di andare via, ma purtroppo non ho potuto fare altrimenti".
"Aiuto, m'ha morso il cane!"
Quindi la Lazio. "Prima di firmare mi hanno messo in guardia: non sai dove vai, soprattutto per gli stranieri è un mondo difficile, la tifoseria è razzista". E Gaby è di origine congolese: "Io avevo un po' paura", ammette a distanza di anni. "Ma dal primo giorno di ritiro a Fiuggi, tutti i tifosi mi hanno subito fatto capire che la Lazio è una famiglia. L'affetto della piazza lo sento ancora oggi. La partita contro il Real Madrid, in un Olimpico strapieno, è un ricordo che non dimenticherò mai".
Come un incredibile incidente fuori dal campo. "Partiamo dal presupposto che io ho paura dei cani e Di Canio lo sapeva", sorride Mudingayi. "A qualche giorno dal nostro primo derby Paolo aveva invitato tutti i nuovi a casa sua: c'eravamo io, Belleri, Tare e Behrami". Più il rottweiler di Di Canio. "Loro erano tutti d'accordo. Siamo entrati e c'era il cane legato in giardino: comincia ad abbaiare, così dico agli altri di muoversi. Ma intanto quel bestione esce da dietro, io non lo vedo e sento qualcosa che mi salta addosso: 'm'ha morso il cane, m'ha morso il cane', inizio a urlare. Ma era Di Canio che mi faceva uno scherzo". Dalle conseguenze clamorose: "Mi sono stirato per lo spavento. Fuori un mese. Ovviamente l'episodio è rimasto tra di noi: pensa se l'avesse scoperto l'allenatore".
Il gol dell'ex e la chiamata dell'Inter
Tre anni in biancoceleste, poi quattro al Bologna fino al 2012. "Anche dalle parte del Dall'Ara, ricordo l'amore dei tifosi in qualsiasi momento: sono stato fortunato a giocare in piazze davvero molto calde". Insieme a Diego Perez, Mudingayi formerà una diga di centrocampo formidabile. "Un'idea di Pioli", ricorda Gaby. "Noi dobbiamo imparare a difendere per poter attaccare meglio, ci diceva sempre. Così io e lui davanti alla difesa siamo riusciti a fare il meglio. E davanti, tanto c'era Di Vaio che la buttava dentro". Una volta, toccò anche a Mudingayi: "All'Olimpico, contro la Lazio. La squadra che non avrei mai voluto colpire". Con un grandissimo gol al volo. "Non so neanch'io come ho fatto. Un momento un po' strano: ero un po' contento ma anche tanto arrabbiato".
L'ultimo anno in rossoblù si chiuderà con un brillante nono posto: a 30 anni, per Mudingayi arriva la chiamata dell'Inter. "Cercavano un interditore", il belga torna su quei momenti. "Al Bologna avevo dato il massimo: difficile dire di no a una squadrà così. Mi ha fatto veramente tanto piacere avere le attenzioni di una big". Con tanti reduci del triplete ancora in rosa: "Allenarmi con loro è stato un privilegio, si imparava sempre tantissimo. Da Zanetti a Cambiasso, da Samuel a Sneijder, mi hanno subito a mio agio. Soprattutto il capitano, un professionista impressionante".
Per Mudingayi arriveranno 17 presenze in un biennio contraddistinto da tanti infortuni. Ma anche da tanto talento attorno a sé: "Sneijder e Cassano sono i giocatori tecnicamente i più forti con cui abbia giocato. E Coutinho e Kovacic erano già devastanti. Il brasiliano era un po' timido però: forse per quello l'Inter non l'ha visto subito pronto".
Mudingayi oggi lo dice con l'esperienza del talent scout. "Avevo pensato di fare anche l'allenatore", dopo il ritiro nel 2017, "ma non mi ci vedo. Per questo oggi lavoro in un'agenzia di procuratori, tra Belgio e Italia. Ogni volta che torno nel mio paese a parlare coi ragazzini, mi piace raccontare loro la mia esperienza. La Serie A per me è stata un grande onore: spiegare a chi si affaccia il calcio quanto sacrificio c'è dietro i risultati, è gratificante e mi ha fatto capire che questa poteva essere la mia prossima strada". Basta che non ci siano più cani (o calciatori spiritosi) pronti all'agguato.