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“Grazie”. Marchisio, un pezzo di Stadium in tasca nel giorno dell’addio al calcio

Sedie a semicerchio, uno schermo sulle spalle che proietta un insieme di esultanze. Lui puntualissimo: alle 15.00 si siede al centro. Scandisce le parole: “Signori, grazie. Mi ritiro”. La voce è già tradita dall’emozione, ma quella frase esce subito: Claudio Marchisio non riesce più a tenerla. Non è felice, ma sereno. Sa quello che ha dato, sa quanto ha dato. Sa che non poteva più dare quello che avrebbe voluto. E così lo dice senza troppi giri. Tono di voce comunque pacato, molto sabaudo.

D’altra parte il “Principino” è l’emblema del calcio e del personaggio sabaudo: sobrio, volto pulito, sorridente. Elegante, fuori come in campo. Voleva che ci fossero i giornalisti, voleva che ci fosse la sua famiglia: la moglie, i due figli e la madre, tutti in prima fila. Una biondissima cornice che illumina la sala dell’Allianz Stadium. Continua a chiamarlo “Juventus Stadium, come un tempo. D’altra parte, chi è a casa sua fatica quasi a ricordarsi le novità. Casa sua, questo stadio. Casa sua, questa città. “Ci tenevo a dirlo qui”, continua.


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Le parole scorrono veloci. La moglie sorride e lo sostiene. La mamma, poco prima che il monologo concluda, piange. È commossa, i sacrifici che hanno portato lei e il padre a Torino e a sostenere il piccolo Claudio a inseguire il suo sogno sono stati tantissimi. Un percorso lungo, tortuoso. Ma pieno di soddisfazioni.

L’otto come segno dell’infinito, come il ricordo che Marchisio lascia ai tifosi della Juventus e al calcio italiano tutto. È il momento di salutare, ma prima si va in campo. Solo con i bambini “che adesso avranno, penso, il piacere di stare di più con me. O no?”. Racconta loro la storia degli spalti, i gol segnati. Indica zone dello stadio, cammina lungo il campo. Poi si china, raccoglie una piccolissima zolla di terra e la mette in tasca (VIDEO). Quindi torna sugli spalti. “Ah, ho preso un po’ del campo e me lo sono messo in tasca”, confessa innocentemente. Senza pensare che telecamere e macchine fotografiche fossero tutte puntate su di lui. “Nessuno ti ha ripreso”, scherzano i giornalisti.

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Si chiudono le porte dello Stadium, si apre una nuova parentesi di vita. Con “curiosità”. Magari per inseguire un nuovo “sogno”. Parole chiave di chi non ha mai smesso di crederci e di provarci. Fino in fondo. Sempre.

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