Kovacevic: “Attaccanti come me non ci sono più. Juve? Sarei rimasto”
L’ex attaccante bianconero ha superato un’operazione al cuore e un agguato. Dalla Grecia ci racconta gli anni di Torino, i ‘calci’ di Mihajlovic e il suo presente
A inizio gennaio la notizia aveva sconvolto tutti. “Darko Kovacevic è rimasto ferito in un agguato”. Quattro mesi più tardi l’ex bomber della Juventus sta bene e vuole passare oltre: “Tutto sta tornando alla normalità, la vicenda è nelle mani delle polizia”, spiega a gianlucadimarzio.com.
Non è la prima difficoltà affrontata in vita sua: “Era il gennaio 2009 e giocavo con l’Olympiakos. Durante un controllo di routine mi trovarono un’arteria occlusa al 98%: non ci potevo credere, non mi ero mai accorto di nulla. Mi operarono al cuore e fui costretto a smettere. Il medico del club mi ha salvato la vita”.
Anche per questo la Grecia ed Atene sono diventate la sua nuova casa: “Amo l’Olympiakos, nel 2010 diventai subito dirigente”. E ancora oggi, dopo un anno come direttore sportivo della Serbia, è rimasto vicino al club del Pireo: “Sono l’uomo in più: ho un buonissimo rapporto con il presidente Marinakis e vado a tutte le partite. Hanno una mentalità vincente, proprio come alla Juventus”.
DALLA JUVE A BOSKOV
A Torino in due anni quell’ariete, fortissimo fisicamente e di testa, lasciò un ottimo ricordo. Soprattutto in Europa. Nel 2000, nonostante la disfatta bianconera a Vigo, fu capocannoniere della Coppa Uefa: 10 gol in 8 partite, meglio anche di Henry finalista con l’Arsenal.
Quelle immagini oggi riempiono il suo profilo Instagram: “Ci eravamo qualificati grazie all’Intertoto, alla Juventus avevamo quasi due squadre. Io vivevo per il gol anche quando giocavo cinque minuti. Spesso entravo e segnavo, riuscirci in Europa era bellissimo”.
Alla Real Sociedad, dove da oltre un decennio è il goleador dei baschi nelle competizioni Uefa, nacque anche un motto: “Darko gol, no problem’. Fu tutto perfetto: pensavo di chiudere lì la mia carriera, ma retrocedemmo e passai all’Olympiakos che mi voleva già dai tempi della Juventus”.
Partito in Serbia dalla piccola Kovin, in quarta divisione, Kovacevic in poco tempo è arrivato ai giganti della Stella Rossa: “Segnai 40 gol in un anno e mezzo, prima di essere venduto allo Sheffield Wednesday”. Il trasferimento in Premier League nel 1994 è tuttavia per il Times tra i 50 peggiori della storia: “Avevo 21 anni e in sei mesi segnai comunque 4 gol. Dovevo avere solo più pazienza”.
Da due stagioni era già entrato nel giro della Nazionale serba con cui giocherà i Mondiali del 1998 e gli Europei del 2000 con Boskov. Due sogni infranti da uno stesso avversario, l’Olanda: “La nostra era una squadra fortissima: Savicevic, Mijatovic, Jugovic, Milosevic, Jokanovic, Stankovic, Dukic… Non era facile sceglierne undici. Che peccato non aver fatto qualcosa di grande, ci mancò un po’ di fortuna. Boskov era un grande allenatore, tirava fuori il meglio e sapeva mettere bene le squadre in campo”.
Attaccanti come Kovacevic oggi non sembrano esserci più: “Sono finiti i tempi di Vieri, Batistuta o Morientes, adesso gli allenatori giocano diversamente. Anche Immobile che segna tantissimo è una seconda punta. Un nove puro è Vlahovic della Fiorentina. La Serbia lo chiamerà presto”.
ANNI ITALIANI
L’Italia ha scoperto Kovacevic nel 1999. Ancelotti lo studiò grazie a delle cassette e convinse la Juventus a sborsare 37 miliardi di lire: “È uno dei migliori allenatori avuti. Non era facile gestire uno spogliatoio con tanti campioni. Zidane in allenamento faceva cose incredibili, neanche ci provavamo a ripeterle. Per me è stato il numero uno in assoluto. A me sarebbe piaciuto restare, ma a 27 anni volevo giocare e con Del Piero e Inzaghi davanti non era facile”.
Tante volte decisivo, come a San Siro contro l’Inter di Lippi. Un anno segnato dalla beffa Scudetto: “È la spina nel fianco della mia carriera, vincere sarebbe stato un orgoglio. Eravamo sempre stati primi e meritavamo quel titolo. A Perugia pioveva soltanto sul ‘Curi’, fuori no. Collina lanciava il pallone e non rimbalzava, sembrava quasi impossibile giocare. Quella Lazio comunque aveva una delle squadre più forti di sempre”.
E nel 2001, nell’ambito dell’affare che portò Salas a Torino, diventò la sua nuova squadra: “Mi aspettavo più spazio: all’inizio giocavo, ma senza grandi risultati. C’era grande concorrenza e poi iniziarono anche alcuni problemi societari, così tornai in Spagna. Ricordo la pressione dei tifosi: se non vincevi le partite, a Formello ti ritrovavi la gente fuori”. Nella Capitale ha condiviso lo spogliatoio con Mihajlovic.
Qualche giorno fa Sinisa è tornato a correre: “Ho sentito spesso il vice Tanjga per sapere come stava, ero sicuro ce l’avrebbe fatta. Ne ho conosciuti pochi come lui, già da giocatore era un leone. Voleva sempre vincere, potevi anche essere suo amico, ma in allenamento ti tirava certi calci. Era un leader e lo è anche oggi da allenatore”. Kovacevic e Mihajlovic: sangue balcanico non mente.
di Gabriele Candelori