Due mondiali e un'Olimpiade. La metà dei trionfi di tutta la storia azzurra. In quattro anni. Ma come se n’è dimenticata in fretta, quest’Italia. Perché dal dopoguerra in poi, Vittorio Pozzo e il grande calcio hanno semplicemente smesso di fare rima. Ad entrare nella leggenda, tra i protagonisti di quegli anni ’30, sono stati altri: Mazzola e il Grande Torino, Meazza e la scala del calcio.
Già, gli stadi. Sapete qual è il più grande impianto italiano dedicato al commissario tecnico più vincente di sempre? Quello della Biellese, club di Eccellenza. A partire dal 2008. Nel 1968 una nuova generazione di campioni riportava gli azzurri in auge – Facchetti, Riva, l’Europeo – e, quasi per togliere il disturbo, Pozzo se ne andò a 82 anni nell’indifferenza generale.
Possibile? Questione di tempi. Brutti, quelli che sorrisero al tenente. Molto più che un soprannome da allenatore di ferro: Pozzo aveva comandato le truppe in trincea, durante la Grande Guerra, 3° Reggimento Alpini. Ne rimarrà segnato a vita, traducendo in panchina la tattica e la disciplina militare. È stato lui a inventarsi il ritiro prepartita, “Tutti in caserma”, diceva. Il pallone al posto delle armi, ma c’era poco da scherzare quando comunque si lottava per la bandiera.
Specie se le pressioni erano quelle del regime. Alla partita inaugurale dei Mondiali del ’38, il mondo sull’orlo della guerra, la Nazionale di Pozzo non evitò di salutare romanamente la Francia antifascista, il pubblico di casa. “Ci provocavano: cedere all’intimidazione prima della partita sarebbe stato deleterio”. Coppa salvata, damnatio memoriae servita. Poco importa se il ct non aveva mai avuto la tessera del partito, se dal 1943 avrebbe attivamente collaborato con i partigiani del Cnl. L’Italia repubblicana doveva prendere le distanze dal Ventennio criminale. E il tenente pagò per tanti.
Rimase sulla panchina azzurra fino al 1948 (vi sedeva dal’29, record assoluto), poi gli fu assegnato il terribile compito di riconoscere i resti dei suoi ragazzi, spariti tra le macerie di Superga. Sarà il congedo con il calcio, per lui, torinese doc e anche ex giocatore granata. L’ultima soddisfazione dietro le quinte: il centro federale di Coverciano, nato nel 1959 anche grazie alla sua attività di consigliere del direttivo tecnico.
La Figc se ne ricorderà solo l’anno scorso, dedicandogli uno dei campi del ritiro della Nazionale. “Finalmente mio nonno, dopo tanti anni di silenzio, sta ricevendo il giusto onore”, ha commentato nell’occasione il nipote Piervittorio. La storia la scrivono i vincitori, non sempre i vincenti. Per quelli come Vittorio la via della riabilitazione è ancora lunga. Non è mai troppo tardi.