Finale dei Mondiali, finale di Champions League e quella del Mondiale per Club: nel giro di un anno, Szymon Marciniak ha diretto alcune delle partite più importanti dei tornei UEFA e FIFA. Da Francia-Argentina a Fluminense-Manchester City, passando per la vittoria degli inglesi contro l'Inter a Istanbul: l'arbitro polacco tra la fine del 2022 e il 2023 si è guadagnato la palma di miglior direttore di gara al mondo. Ma il suo percorso al vertice non è stato privo di ostacoli, tutt'altro: e ancora oggi il quarantaduenne nativo di Płock deve fare i conti con alcuni "problemi" che limitano il rendimento della sua squadra.
Andiamo con ordine. A metà degli anni Duemiladieci, Marciniak è una delle più grandi promesse dell'arbitraggio europeo. Internazionale dal 2011, nel 2016, a trentacinque anni, viene designato per gli Europei di Francia. Sembra destinato ai palcoscenici più importanti, tra Champions e tornei per nazionali. Poi un calo, improvviso ed evidente: i tifosi juventini ricordano, per esempio, il mancato calcio di rigore per un intervento netto di Vertonghen ai danni di Douglas Costa in un Tottenham-Juventus ottavo di finale di Champions.
Il percorso di Marciniak: da promessa alla crisi
È la primavera del 2018. Pochi mesi dopo Marciniak è in Russia per i Mondiali: prima dirige Argentina-Islanda, poi un'altra partita della fase a gironi, tra i campioni in carica della Germania e la Svezia. Il mancato fischio per un fallo nell'area tedesca di Boateng ai danni di Berg è la sua "condanna": non dirigerà più alcun match in quel torneo.
Marciniak all'epoca ha trentasette anni, non è più giovanissimo. Eppure UEFA e FIFA continuano a credere in lui e nelle sue capacità. Il polacco ha giocato a calcio ad alti livelli fino ai 22 anni: questo gli garantisce grande conoscenza delle dinamiche del gioco e una padronanza di tutte le situazioni. In più, Marciniak può contare su una notevole fisicità, caratteristica sempre premiante anche a livello arbitrale.
La rivincita dell'arbitro polacco
La sua risalita è lenta e non mancano le delusioni: su tutte, la mancata convocazione per Euro 2020. Una macchia che Marciniak riesce a lavare via in poco tempo, fino ad arrivare a questo eccellente anno e mezzo tra 2022 e 2023. Spicca in particolare la prestazione offerta in Qatar nella finale dei Mondiali: perfetta, senza alcuna imprecisione. Eppure il match presentava (ça va sans dire) diverse difficoltà già sulla carta, a cui si sono aggiunti calci di rigore (tutti giusti) assegnati senza ricorrere al VAR, e una simulazione (di Marcus Thuram) non facile da interpretare ma letta senza esitazioni e dal campo.
La stagione 2022-2023 è di quelle da ricordare, soprattutto in Champions. Fischia in ottavi, quarti, semifinale e finale. In totale, compresi i preliminari, sono nove apparizioni in tutta l'edizione. Manchester City-Inter è il "premio" scontato alla fine di un percorso eccellente, anche se l'arbitro polacco rischia di vederlo sfumare fino alla vigilia. Colpa della partecipazione a un evento di estrema destra in patria: la Uefa apre un'inchiesta, poi lui si scusa e viene confermato per l'evento del 10 giugno.
Il "caso" Kwiatkowski
Quello di Marciniak non è però un percorso netto. Degli errori, anche in quest'anno di grazia, ci sono stati. Due su tutti: il rigore non fischiato al Napoli nel quarto di finale di ritorno per un fallo di Leao su Lozano, e quello (ingiusto) assegnato al Paris Saint-Germain in questa edizione, ai gironi, contro il Newcastle. In entrambi i casi è mancato un tassello fondamentale: un adeguato supporto del VAR, che nel primo caso non richiama Marciniak nonostante sia opportuno, nel secondo "forza" una On Field Review non appropriata. In entrambi i casi al monitor c'è Tomasz Kwiatkowski, che non a caso è stato "sospeso" da Roberto Rosetti dopo l'errore del Parc des Princes: designato per un altro match dei gironi del giorno dopo, tra Real Sociedad e Salisburgo, è stato sostituito.
Insomma, Marciniak in questo momento è sicuramente nella top 3 degli arbitri migliori al mondo. Ma se c'è un dettaglio che ancora gli manca, è il valore complessivo della sua squadra arbitrale, sicuramente inferiore a quello di altri organici. Come per esempio quello italiano, che rimane più forte, visto che Orsato può sempre contare su Irrati, tra i migliori VAR del mondo.