Shine on you Iceland: il sogno mondiale è realtà, con tanto di record
Tutto vero, ed è pure un record. Una nazione con meno di mezzo milione di abitanti (circa 334 mila) si è qualificata tra le 32 squadre che si giocheranno il Mondiale. E chi se non loro, a guadagnarsi questo primato: l’Islanda dei miracoli, che adesso è diventata grande, a dispetto di quanto sia piccola e meno blasonata rispetto alle grandi nazionali che non sono ancora certe di ottenere il pass per la Russia o addirittura il Mondiale lo guarderanno dalla TV. Superato il record di Trinidad&Tobago, qualificata al Mondiale con “appena” 1,2 milioni di abitanti: è la nazione più piccola a qualificarsi nella storia dei Mondiali.
Sarà una lunga notte a Reykjavik e chissà che tra nove mesi non si registri un altro boom di nascite come accadde già in occasione della vittoria agli ottavi di finale di Euro 2016 contro l’Inghilterra: del resto, una prima volta storica va festeggiata. Una prima volta che dimostra come l’exploit di un anno fa in Francia non fosse affatto un caso, ma una conseguenza ben precisa di un percorso cominciato a metà degli anni novanta, quando la federazione decise di investire sul calcio costruendo decine di campi indoor e intensificando (migliorandoli qualitativamente) i corsi per aspiranti allenatori. Con il risultato che il “personale qualificato”, da quelle parti, è costituito da un numero molto elevato di persone. Un altro (fondamentale) risultato è stato l’aumento del numero di calciatori presenti sull’isola: sempre più ragazzi hanno cominciato a giocare a calcio e la stima dei calciatori registrati è intorno al 7% della popolazione. Questa nazionale è figlia di quei provvedimenti.
“I calciatori islandesi costano meno, in ogni caso”. “Solido background atletico sin dalla giovane età”. “Allenatori qualificati e pagati, allenano i bambini sin dall’età di 5/6 anni”. “Un gran numero di allenatori sono anche insegnanti di educazione fisica”. “Il calcio è lo sport n.1 in Islanda, c’è cultura calcistica”. Slogan messi lì a caso? No, dati. E verità scritte, pubblicate dalla stessa federazione islandese. Che adesso raccoglie i frutti e in un girone con Croazia, Turchia, Ucraina e Finlandia (più il Kosovo) è riuscita a guardare tutti dall’alto verso il basso. Con i gol di Finnbogason, attaccante dell’Augsburg passato anche a Torres, in Sardegna (!) e di Gylfi Sigurdsson, il giocatore più rappresentativo passato quest’estate dallo Swansea all’Everton; grazie alla grinta del capitano Gunnarsson, alle reti al momento giusto e al posto giusto di Gudmundsson e Magnusson (ex primavera Juve), alla sapiente guida del CT Hallgrimsson.
Stasera è bastato battere il Kosovo (2-0) per avere l’aritmetica certezza. Al fischio finale della partita che ha consegnato alla storia l’Islanda, il cielo di Reykjavik si è illuminato: no, stavolta non era l’aurora boreale (il periodo è quello propizio), ma i fuochi d’artificio della festa. E in tribuna anche qualche faccia commossa, qualche mano sul viso a coprire forse una lacrima. Come a dire: ci siamo davvero anche noi. E il geyser sound versione Russia 2018 scalda già i motori. Sarà un lungo inverno, ma ne varrà la pena. E in realtà, dopo essere stati in prima persona a Reykjavik, ve lo avevamo detto: movimento in crescita, gli altri campionati come modello, la gente che guarda le partite nei pub. Hanno meritato di esserci. Perché l’Islanda non è così lontana. E da stasera brilla ancora di più.