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Data: 20/12/2016 -

L'Islanda non è poi così lontana. Viaggio nel calcio a Reykjavik e dintorni

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«Ero un grande ammiratore del Milan di Van Basten, Maldini, Baresi. Che squadra…». Tutto normale, no? Un signore di mezza età che ricorda una delle squadre più forti di sempre, con un po’ di nostalgia e il timore che forse quei tempi non torneranno più. Tutto normale, un po’ meno però se il signore in questione non è italiano ma islandese e questa conversazione avviene in un piccolo quartiere alla periferia di Reykjavik, Arbær. «Quanto erano forti!» dice Theodor col suo inglese un po' maccheronico ma asciutto e spigolosamente islandese mentre osserva una sua vecchia foto mentre calcia un pallone. L’Islanda (non) è così lontana. Anche a dicembre, anche quando il calcio, da queste parti e in questo periodo dell’anno, è fermo. Almeno ufficialmente. E le uniche partite cui si riesce ad assistere sono quelle in preparazione alla Reykjavik Cup, un torneo tra le squadre dell’area urbana della Capitale che comincia a gennaio e dura un paio di mesi. Sì, perché il campionato, quello vero, comincia a maggio e finisce a ottobre. Si dà il cambio con l’aurora boreale

La squadra campione in carica è l’FH Hafnarfjörður e prende il nome dall’omonima città. Ma va bene anche chiamarla FH… L’amichevole a cui assistiamo si gioca invece tra Fylkir e Fjölnir. Il centro sportivo del Fylkir è immerso nella natura. Costeggia un fiume e alla partita assistono curiose anche alcune persone che si rilassano in una delle centinaia di piscine all'aperto riscaldate di Reykjavik. Acqua calda, tanto; aria fredda, di più. Ma qui è consuetudine, siamo nella Terra del Ghiaccio e del Fuoco, no? Il Fylkir, dalla casacca arancione, è stato retrocesso durante l’ultimo campionato ma riesce ad imporre uno 0-0 non senza emozioni al Fjölnir, gialloblu simil Parma, arrivato quarto. «L’Italia? Wow… San Siro. 80.000 spettatori. Quando vedrai lo stadio nazionale di Reykjavik resterai deluso!», dice un addetto ai lavori che assiste alla partita accanto a me. E però in quello stadio ci ha perso anche l’Italia nel lontano 2004. 2-0, la prima Italia di Lippi che due anni dopo sarebbe salita sul tetto del mondo a Berlino. E soprattutto, anche in quello stadio è nato il miracolo Islanda, compiutosi poi ad Euro 2016. «E chi se lo aspettava. Abbiamo sognato per un mese, tutti parlavano di noi. Della piccola Islanda diventata grande. Un po' come questi giovani calciatori che ora crescono qui davanti a noi». L’Islanda che ha pareggiato col Portogallo futuro Campione d’Europa, ha prevalso nel girone su una delle sorprese annunciate come l’Austria, ha eliminato l’Inghilterra agli ottavi e si è battuta con onore contro la Francia ai quarti. Come dei vichinghi«E con un po’ di fortuna in più, chissà». Chissà. L’obiettivo adesso è qualificarsi ai Mondiali del 2018. Mentre nel resto d’Europa le stagioni entrano nel vivo: «La Premier League è il primo campionato che seguiamo qui, in assoluto. Anche perché alcuni giocatori islandesi militano lì. Poi la Liga. La Serie A? Tutti conoscono la Juventus e il Milan soprattutto, si gioca il terzo posto di campionato più seguito insieme alla Bundesliga».

Una classifica che però non ha senso al “Bjarni Fel Sport Bar” di Reykjavik, Austurstræti 101. Di fianco alla porta d’ingresso una piccola insegna che si rivolge alle donne: “Centro d’accoglienza per mariti: una grande opportunità per fare shopping da sole in Islanda, senza un fastidioso marito. Ci prenderemo cura di lui per uno o anche due happy hour, con più di 20 televisioni e abbastanza sport da tenerlo occupato per diverse ore”. Ed è tutto vero. Uno primo maxi schermo è già piazzato fuori, Ibra segna l’1-0 contro l’Everton e si sentono le urla provenire dal bancone. Dentro è davvero il paradiso dello sport. Calcio da ogni parte del mondo ma anche tanta NFL, birra, hamburger. E il tempo sembra non esistere più. Sarà il buio quasi costante di Reykjavik, dove alle 6 di sera sembra già notte da un pezzo (a dicembre la luce dura non più di 5 ore), sarà la compagnia. Viene proiettata anche Fiorentina-Palermo. E sì, c’è anche Manuele, un ragazzo di Firenze in vacanza che esulta per la vittoria all’ultimo minuto firmata Babacar. L’Islanda (non) è così lontana.

A poche centinaia di metri da bar si trova la piazza dove la Nazionale è stata accolta di rientro dalla Francia. Fu una maxi Geyser dance. Forse non tutti sanno che il termine geyser deriva da Geysir, il geyser più antico e famoso d’Islanda. Calma apparente e poi un’eruzione d’aria. O un battito sincronizzato di mani. Questa è l’Islanda, dove ci si allena costeggiando un fiume e se si è fortunati si ammira in cielo l’aurora boreale, magari mentre si guarda in alto dopo una parata. Non però se l’allenamento si svolge in uno dei tantissimi campi indoor costruiti per allenarsi anche con condizioni climatiche più avverse. I 6/7 gradi di media di questo dicembre sono infatti un’eccezione: di solito in questo periodo si è sotto lo zero e sommersi di neve. Nessun problema dunque per le centinaia di allenatori islandesi. Si è investito molto nella loro formazione e nel loro ruolo di educatori. Obiettivo: formare una cultura calcistica solida. Ci sono riusciti. E sarà forse meno stupefacente delle luci del Nord o di un vulcano impronunciabile (sì, quello che costrinse il Barcellona al viaggio in pullman a Milano per l'andata della semifinale di Champions League 09/10) o della gittata di un geyser. Ma è anche grazie a questo che oggi l’Islanda (del calcio) non è poi così lontana da qui.



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