"Aaahhh da quando Baggio non gioca più". In questa frase di Cesare Cremonini c'è tutto quello che Roberto Baggio rappresenta per la storia del calcio italiano. Da quando non ha giocato più lui, non è stata più la stessa cosa. Lui, unico campionissimo del nostro calcio che non si può identificare con alcuna maglia di club. Talmente partrimonio di tutti, che l'unica vera divisa che lo può rappresentare è quella azzurra della Nazionale.
In quei Mondiali, che non ha mai vinto ma nei quali ha emozionato come nessuno. Dal gol contro la Cecoslovacchia entrato nella storia di un'estate italiana, non conclusa con il lieto fine, fino al destro al volo a incrociare passato vicino al palo di Barthez, nel quarto di finale di Francia '98, "di tanto così". Parole che rievocano immagini, che scorrono velocissime nella mente di chiunque le abbia viste anche per una sola volta.
In mezzo impossibile non ricordare la cavalcata di Usa '94, dalle liti con Sacchi ai gol a ripetizione con i quali prende per mano la squadra e la porta fino alla finale di Pasadena. Già, Pasadena. "Ogni tanto ci ripenso ancora a quel rigore", sono passati 26 anni ma il ricordo non sbiadisce. La palla che si spegne sopra la traversa e il Brasile che diventa Campione del Mondo. Per tutti quello rimarrà per sempre come "il rigore di Baggio", ma lo dice anche De Gregori che un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo e dalla fantasia. E di queste qualità, Roberto ne aveva da vendere.
Il coraggio di chi, ancora 18enne, ha subito un terribile infortunio al ginocchio destro e avrebbe dovuto convivere per tutta la sua carriera con il fantasma dei problemi fisici. L'altruismo di chi accettò il trasferimento dalla Fiorentina alla Juventus, nonostante il fortissimo legame con la piazza viola. Un addio che provocò sommosse popolari e proteste di piazza che Roberto non ha mai dimenticato. Il giorno della presentazione in bianconero decide di non indossare la sciarpa della nuova squadra per non mancare di rispetto ai vecchi tifosi.
La fantasia forse è quasi superfluo raccontarla talmente è stata grande. 205 gol in Serie A con le maglie di Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Inter e Brescia, il Pallone d'Oro 1993 e numerosi trofei di squadra. Il Baggio più grande è stato sicuramente quello degli anni '90, il Baggio più amato forse quello degli anni 2000. Che lascia i grandi i club per concludere la carriera nel Brescia di Corioni e Mazzone. Quattro anni incredibili che la città lombarda ricorda ancora.
Il giorno del suo addio al calcio si è capito una volta per tutte quanto il suo popolo lo amasse. Il popolo degli amanti del calcio. La platea è quella che merita un fenomeno così. San Siro, 16 maggio 2004, Milan-Brescia. Tutto lo stadio si unisce in un unico, enorme, tributo. E in quel fantastico movimento popolare è entrato tutto: gli infortuni, il dolore sofferto, le giocate sublimi, il rigore del '94 e gli Scudetti conquistati. San Siro lo aveva già capito. Che da quando Baggio non gioca più... non è più domenica!