Se seguite gianlucadimarzio.com, probabilmente amate visceralmente il calcio. Al punto da desiderare di restare sempre aggiornati sulle notizie riguardanti lo sport più bello al mondo, senza perdervi neanche una virgola di quanto può regalare. Azzardiamo (ma neanche tanto), probabilmente avete desiderato almeno una volta nella vita, con tutto il cuore, di diventare un calciatore professionista, che di partite ne avete giocate e guardate a sazietà ma, alla fine, non vi siete mai saziati davvero.
Cosa ci spinge a desiderare di giocare a questo sport? Non i soldi, che stanno venendo davvero fuori negli ultimi decenni, non sono mai stati loro la reale motivazione. Probabilmente il semplice desiderio di giocare è quello che prevale ogni volta, e nel gioco ritrovarsi protagonisti, eroi dell’azione decisiva, marcatori di quel gol segnato all’ultimo davanti a migliaia e migliaia di sostenitori, magari nello stadio che ci ha accolto da bambini.
Daniele Amedeo, classe 2008, era solo un bambino quando ha iniziato a scoprire il calcio. Ha iniziato a giocare a 4 anni, quando ancora la stazione ferroviaria accanto al campo della sua scuola calcio riusciva a distrarlo dalla palla, perché era simpaticissimo veder passare i treni ogni volta.
Costruire un sogno con i sacrifici e la voglia di lottare, anche percorrendo chilometri e chilometri
In tanti hanno fatto come lui, alla stessa età: a 4 o 5 anni, massimo 6, si inizia a giocare e poi si finisce inevitabilmente per inseguire un sogno. Giocare a calcio, renderlo il proprio lavoro, la propria vita. C’è chi non riesce a soddisfarlo, chi si arrende molto prima, chi “non ha i piedi buoni” o “il fisico adatto”. Chi lotta per migliorarsi, chi ha già il talento, chi la dedizione.
Poi c’è anche chi ha un mix di tutto questo, proprio come Daniele, che da Cetraro - piccolo comune di neanche 10.000 anime in provincia di Cosenza -, è riuscito a rubare l’occhio della Reggina e spesso, durante la settimana, ha percorso quei 200 chilometri di “andata e ritorno” tra casa e il Centro Sportivo “Sant’Agata”. Tutto pur di inseguire quel sogno.
Col tempo ha affinato la tecnica e formato la testa. Ha ancora tutto da dimostrare, ovviamente, ma tra i coetanei è già un esempio. Perché lega varie componenti: lavora sodo (come ha fatto anche Ambrosino del Napoli, per spiccare); ha iniziato a sentire il peso della responsabilità che porta come elemento di una squadra (come Pafundi, talento giovanissimo dell’Udinese); sa bene come “giocare di squadra” (come Faticanti, regista e motore della Roma Primavera e dell’Italia U19). E poi, gioca senza smanie di protagonismo, è concreto.
Questa è una caratteristica non più comune nel mondo del calcio giovanile, perché i ragazzini adesso vogliono sempre rendersi protagonisti dell’azione decisiva, magari andando anche in gol: “Prendi palla e fai tutto tu, mettiti in mostra”, si potrebbe sentir dire da un genitore a qualche ragazzo. Lui, invece, gioca per la squadra e fa di tutto per la squadra, dimenticandosi di pensare di spiccare sopra tutti, spiccando proprio per questo motivo.
Cresce da leader silenzioso, regista che prende ispirazione da Pirlo - che la Reggina tra l’altro l’ha conosciuta durante la sua ricca carriera - ma che vuole ispirarsi a Dybala, giocatore che ammira dai tempi del Palermo e che poi ha seguito come modello con la maglia della Juventus. Parte come aiuto in difesa, alza il baricentro della squadra (anche palla al piede) e scarica al compagno più smarcato. Caratteristica clou la sua velocità di pensiero, con cui arriva a decidere come concludere la manovra. Poi calcia anche bene e, quando serve, il tiro in porta lo tenta.
Per farla breve, le sue qualità tecniche e la sua testa - considerando la sua età - hanno colpito gli osservatori di alcuni dei top club italiani, che già sono venuti a visionarlo al campo sportivo e lo hanno portato a confrontarsi con altri piccoli grandi talenti. A lui, ancora, la possibilità di dimostrare cos'è in grado di fare.