Italia, ciao. Roma, ciao. José Mourinho rappresenta la rivoluzione lusitana che parte da Tiago Pinto e arriva fino a lui. No, non staremo qui a ricordare che il giorno della presentazione all’Inter nel 2008 si era presentato parlando in italiano perfetto. “Non sono un pirla” aveva detto. Ora è “Daje Roma”, ha già capito tutto (le sue frasi). Ma ve lo ricordate l’ultima volta Mourinho in Italia? Sono passati tre anni, sembra una vita.
Anche quella sera, Mourinho aveva fatto parlare di sé. Era il 7 novembre 2018, a Torino: Juventus-Manchester United. La trasferta più sentita contro la squadra (e la tifoseria) che più in Italia lo ha contestato quando era all’Inter. È normale: rivalità in campo che Mou già ai tempi aveva alimentato. Ed è per questo che l’accoglienza fu clamorosa. Cori su cori: in campo 22 giocatori, in panchina lui. Il bersaglio.
90’ in cui, all’Allianz, il suo nome era quello più citato. 2-1 il risultato finale. Anzi, 1-2: il Manchester era riuscito a ribaltare l’1-0 di Ronaldo in 3’, con rete di Mata e autogol di Bonucci, a pochi minuti dalla fine della partita.
Non poteva non farsi notare, Mou: mano sull’orecchio, sorriso. “Beh?”. Era una metafora, ora è realtà: stadi vuoti, il rumore non si sente davvero. A mente più fredda si era anche scusato, ma l’impulsività c’è sempre stata, mescolata a quella sensazione che, a caso, José non faccia davvero mai nulla. Tre anni dopo, il calcio è cambiato del tutto: due esoneri consecutivi per Mou, che riparte da zero con un progetto del tutto nuovo (le possibili novità).
Entusiamo, attesa, curiosità: in poche ore, Mou ha portato tutto questo. Come nel 2018. O quasi.