C'è un filo conduttore che lega l'Italia e gli Stati Uniti, in particolare Bergamo e New York. Le due città più colpite delle rispettive nazioni dal Coronavirus. Due luoghi che Maxi Morález conosce bene, dopo le quattro stagioni e mezzo con la maglia dell'Atalanta e le tre con con quella del New York City, dove gioca tuttora.
"Sono chiuso in casa da 15 giorni con la famiglia. Non è come l'Italia, ma ormai qua ci sono più persone al mondo infettate. È stato un po' sottovalutato qui questo problema. Magari hanno pensato che non sarebbe potuto accadere come in Italia e Spagna. Non sono state prese subito le misure necessarie, ma dopo che qualcuno viene contagiato diventa difficile fermare questo virus. Per fortuna non ci sono tanti morti, ma ogni giorno qua ci sono 1000 contagiati in più. Questo fa paura", racconta l'argentino ai microfoni di gianlucadimarzio.com, che ormai da due settimane ha smesso di allenarsi con il gruppo dopo l'interruzione della MLS.
"Siamo stati il primo club ad avere un contagiato negli Stati Uniti. Non ci è stato detto chi è il membro della squadra ad essere risultato positivo però ci hanno detto di restare per precauzione in casa. Quando si è saputa la notizia ero un po' preoccupato, ma il dottore ci ha detto che senza sintomi non può essere fatto il test. Per fortuna né io né la mia famiglia ne abbiamo avuti, per cui non ce n'è stato bisogno".
Gli Stati Uniti hanno superato quota 100mila contagiati da qualche giorno. Il governo non ha ancora indetto la quarantena obbligatoria ma per le strade inizia ad esserci meno gente del solito per paura che la situazione possa precipitare. "Non ci sono restrizioni come in Italia. In giro tuttavia si vede ancora gente fuori con il cane, che va a correre o che fa una passeggiata con il proprio marito. Sono rimaste un paio di attività aperte come alcuni ristoranti, banche, farmacie. Al supermercato la gente va senza guanti e senza mascherina. Per quanto riguarda la mia famiglia, noi facciamo la spesa ogni 3 o 4 giorni, ma esce una sola persona e cerchiamo di restare in casa il resto del tempo".
Tra quelle quattro mura Maxi di certo non si annoia. "Vivo con mia moglie e i miei due bambini che sono piccoli. Loro vogliono giocare sempre. Per fortuna ho il giardino, così possono stare lì quando è bel tempo. Approfitto di questo momento per stare insieme a loro e per fare qualche allenamento in casa con mia moglie. Proviamo a divertirci così perché non possiamo fare molto altro. Non guardo film o serie perché di solito in tv ci sono i cartoni: devo fare quello che vogliono loro".
FISICAMENTE A NEW YORK MA CON LA TESTA ALTROVE
Il cuore del Frasquito però è diviso in due. Una parte batte per la sua Fray Luis Beltrán, cittadina nella provincia di Sante Fe, che ha lasciato a 13 anni per trasferirsi a Buenos Aires per giocare nel Racing, ma dove ancora vivono i suoi genitori. "Mia mamma ha avuto il cancro e dopo la chemioterapia magari adesso è un po' più debole. Per fortuna mio padre è ancora giovane. Loro comunque sanno cosa fare e stanno sempre in casa. In Argentina hanno fatto la quarantena obbligatoria. Sono stati bravi a chiudere tutto, anche se ci sono tante persone che fanno quel che vogliono. Quelli ci sono ovunque...".
L'altra metà invece batte per quella che è stata a tutti gli effetti la sua seconda casa, Bergamo. "Ho tanti amici lì. Ieri mi hanno dato la notizia che è morto l'ex marito della ragazza che conoscevamo. Quando succedono queste cose è brutto perché sai che la gente sta soffrendo troppo. L'unica cosa che dobbiamo fare è restare in casa", racconta Maxi mentre la telefonata viene interrotta dalle voci dei suoi figli che a quanto pare hanno finito di vedere i cartoni animati e provano a riportare un po' di vivacità anche sul suo volto "Scusami ma mi ero anche messo in camera da letto per cercare di non essere disturbato, perché quando mi vedono poi succede questo" (ride ndr).
IL LEGAME CON BERGAMO E LA SUA GENTE
Mentre tutto il mondo dello sport si è fermato, i tifosi nerazzurri hanno fatto capire a Percassi che per loro non ha più senso continuare la stagione, nonostante i risultati della squadra di Gasperini. "Credo che in questo momento le persone che comandano dovrebbero avere un po' di buon senso. Non c'è stata una bomba in un paese, ma un virus in tutto il mondo e non c'era bisogno che morisse tutta questa gente. Il calcio muove troppi soldi, per questo credo che sia difficile che non si riprenda a giocare. Noi stiamo aspettando che ci dicono qualcosa per sapere cosa fare. Se io potessi tornare in Argentina lo farei, invece di stare lontano dalla mia famiglia in un paese che non so come si muoverà. Se non si giocasse più per quest'anno forse sarebbe la cosa migliore".
Uno stop necessario, in un momento dove al primo posto viene la salute delle persone. Un periodo per riflettere, ma che non cancella quanto fatto dalla Dea in questa stagione e negli ultimi anni. "Sono stato a vedere l'Atalanta contro il Manchester City qualche mese fa perché ero a Milano in vacanza. È stata una gioia incredibile vederla pareggiare contro una squadra così forte. Credo che neanche loro ci credessero, ma è stato il punto di partenza per arrivare dove è oggi".
In quell'occasione tra l'altro ha avuto modo di riabbracciare anche due vecchi amici come Otamendi, ex compagno al Vélez, e Agüero, con il quale aveva giocato da giovane in nazionale. E pensare che al Mondiale U20 venne premiato come secondo miglior giocatore proprio dietro al Kun. "Ho salutato entrambi dopo la partita. Con Nico ho un po' più di confidenza. Sempre un piacere vederli".
Dal 2017 quando ha lasciato i messicani del Léon, negli States ha segnato 20 reti e ha fornito 45 assist. Numeri che lo hanno reso il miglior assistman del campionato e che gli hanno permesso di rinnovare il contratto fino al 2021. Ma non hai la sensazione di aver lasciato troppo presto l'Europa? "Sono scelte che uno prende e che deve valutare in quel momento. L'Atalanta prima che andassi a giocare in Messico, mi stava per vendere in due occasioni ma io non ho voluto. La terza volta non ho potuto rifiutare ma ero felice della decisione presa.
A Bergamo sono stati 4 anni e mezzo bellissimi: ci è nato mio figlio e rimangono quei momenti belli che ho vissuto lì. Per me quella città rappresenta tutto, non solo calcio. Oggi l'idea che abbiamo in famiglia è che quando smetterò di giocare, torneremo a Bergamo per vivere lì. Quando in una città ti trovi così, con la gente che ti accoglie bene sin dal primo giorno, sono cose che ti segnano per sempre".
Mattia Zupo