Voce rilassata. Sullo sfondo, voci di bambine. Percezioni uditive di quello che è stato e quello che sarà. “Sai, alla fine ho scelto di smettere dopo averci pensato molto. Ma davvero molto”. Davide Lanzafame è ancora a Vicenza con la sua famiglia. Sono sempre stati insieme. Resterà in Veneto ancora per qualche mese: commenta la sua lettera di addio al calcio con grande lucidità, quasi a voler fronteggiare a testa alta un momento di quelli tanto simbolici, che chiudono un capitolo e ne aprono un altro. “Cosa farò adesso? Studiare, studiare e studiare. Non mi posso far trovare impreparato se mi dovessero chiamare. So per certo che voglio restituire al calcio qualcosa di importante, dopo tutto quello che questo mondo ha lasciato a me. Se come allenatore, agente o direttore sportivo, lo capirò più avanti”.
"Solo l'Honved poteva farmi cambiare idea"
A 35 anni, l’ex Juventus, Palermo, Parma, Brescia e molte altre ha pensato che fosse arrivato il momento di fermarsi. “In questi mesi, avevo ricevuto qualche proposta. Ma non sentivo gli stimoli giusti. L’unica squadra che avrebbe potuto farmi cambiare idea sarebbe stata l’Honved, dove ho giocato per tre anni e mezzo in totale. Mi piace l’Ungheria, mi piace Budapest: sarà la nostra città quando le mie figlie termineranno l’anno scolastico. Se stavo per tornare? Qualche settimana fa ero andato a vedere la squadra nel nuovo stadio, ho salutato i miei vecchi amici e ho parlato anche con la dirigenza. Ma poi non se ne è fatto più nulla, e allora ho preso la decisione più naturale possibile: non avevo voglia di trascinarmi avanti. Per cosa, poi?”. Confessioni a cuore aperto, quasi un monologo. “Da diverso tempo penso anche di voler aprire una scuola calcio a Budapest, è un progetto che ho nella testa e che voglio portare avanti. Prima, però, mi devo abituare a questa nuova routine: è tutto diverso e la cosa un po’ mi spaventa. Dovrò essere bravo io a gestirmi”.
D’altra parte, chi ha cambiato sedici squadre in carriera, ha un concetto di routine particolare. Che fa il paio con quello di apertura. “I calciatori italiani hanno spesso paura a cambiare. Io penso di aver vissuto un magnifico viaggio. Quando ho deciso di smettere, mia moglie è scoppiata a piangere: abbiamo vissuto insieme tanti traslochi, tanti cambiamenti. Ho tre figlie, ma abbiamo sempre deciso di restare uniti. Ho vissuto in Ungheria, al confine con la Siria (quando giocava all’Adana in Turchia, ndr), ho cambiato tante case ma non ho mai avuto paura delle sfide. Se è stato semplice? Per nulla. Ma quando mi metto in testa qualcosa, non mi tiene nessuno”.
Lo dice con orgoglio, non con rammarico. “Anche se ho commesso tanti errori in carriera: mi sono affidato al mio istinto, al mio carattere un po’ irascibile e alla mia voglia di giocare. Dovessi tornare indietro? Rifarei tutto: è il mio modo di essere, io sono così e non voglio cambiarmi per nessuna cosa al mondo. Ho vissuto questi quindici anni di carriera a mille, senza compromessi o scelte comode. E questo stile di vita può essere andato forse anche un po’ a mio discapito, magari avrei potuto giocare in qualche squadra più blasonata. Ma non importa: in Ungheria mi hanno sempre apprezzato per il mio essere istintivo, naturale. E ne sono felice”.
Storie di mercato? Ne ha diverse. “C’è stato un anno in cui avrei potuto passare al West Ham. Eravamo d’accordo su tutto: il direttore sportivo era Nani, che qualche anno dopo mi volle al Brescia, mentre l’allenatore era Zola. Solo che la Juventus, in quell’estate del 2008, stava chiudendo per Amauri, e Zamparini voleva in cambio soldi più il mio cartellino, quello di Nocerino. Così sono stato dirottato lì: è stata una grande esperienza. Quella piazza è strepitosa, ma all’inizio ero un po’ stordito: mi vedevo davvero in Premier”. Con la Juve gli incroci sono stati tanti. Avanti e indietro di continuo. “Dopo la stagione 2009/2010, ero tornato in bianconero. Avevo giocato molto bene a Parma e Delneri mi voleva a Torino”. Poche partite, però: tre in campionato e sei in Europa League. “Non ero pronto: quella è una società troppo importante. Ho avuto anche dei problemi perché la pubalgia mi ha influenzato molto, ma non voglio alibi. Sono cresciuto in bianconero e ho giocato comunque con quella maglia: è un vanto che mi tengo stretto, un prestigio enorme. E poi l’educazione che mi ha dato quell’ambiente non si scorda più”.
Quando era piccolo poteva anche vestire la maglia del Torino: provino a sei anni, veniva da un piccolo club dell’hinterland torinese, il Barcanova. “Mi portò mio fratello, ma poi mi chiamò la Juve e decisi di accettare. Ho imparato tutto: dal rispetto degli orari al comportamento in un gruppo. È stato bello. Davvero bello”. In quella Juve, in quel settore giovanile, ha conosciuto anche Giovinco, che ora riparte dalla Sampdoria. “Sono felice per lui. Forse la sua scelta di andare al Toronto è stata leggermente più semplice delle mie di trasferirmi all’estero (ride, ndr). È un campione, Seba. Ed è stato fin troppo sottovalutato qui in Italia: si merita di chiudere in Serie A”.
Del passato, Lanzafame parla poco. La voce resta ferma, serena. Forse anche un po’ stordita. Pensa più al presente e al nuovo futuro. Che è fatto di famiglia, studio e stabilità. Un viaggio tutto nuovo. Tutto diverso.