Maurizio Sarri verso la fine del suo 2019, un anno di successi e cambiamenti, dal primo titolo internazionale sulla panchina del Chelsea alla nuova grande sfida alla Juventus. Sicuramente uno degli anni più importanti della carriera dell'allenatore bianconero, che però si è chiuso con una sconfitta che gli ha impedito di vincere un trofeo anche su una panchina italiana. "Siamo arrivati con poche energie e le abbiamo pagate. Ci dispiace, lasciare un trofeo dispiace sempre. La squadra si è allungata, ha perso le distanze tra i reparti e tra i singoli. Quindi la Lazio ha giocato in pochi spazi e con tempo a disposizione. Questo non ci deve capitare" ha dichiarato a Sky Sport nella sua intervista.
La sua mano sulla Juve
Una riflessione sul suo anno, le sue impronte e i suoi obiettivi. Una Juventus insomma che ha ancora bisogno di pazienza per vedere la vera mano di Sarri. "Siamo ancora in una fase in cui abbiamo degli alti e bassi. Abbiamo dei momenti in cui giochiamo veramente da squadra, altri in cui ci perdiamo un attimino. Rientra nella normalità, è la nostra mentalità che pretende tutto e subito. Il Liverpool di Klopp che è campione d’Europa e campione del mondo nei primi due anni ha fatto un undicesimo e un ottavo posto. L’aspetto strano è che prendiamo i gol in quelle situazioni dentro l’area di rigore in cui prima la Juventus era fortissima. Occorre tirare su dei ragazzi acerbi, per quello che è il nostro campionato e la mentalità del calcio italiano, come Demiral e De Ligt. Quindi un po’ di pazienza la dobbiamo avere".
Pazienza dunque anche per vedere il tridente e le sue soluzioni in attacco: "Dipende da chi considero in quel momento il giocatore che ci può far fare la differenza Bernardeschi in quel ruolo è quello che fa la fase difensiva migliore, Ramsey è un raccordatore di ottimo palleggio e di eguale talento".
I ricordi di Sarri
C'è tempo anche per fare un salto più indietro, su quell'avventura al Chelsea che gli ha regalato finalmente il suo primo trofeo da professionista. "Un campionato straordinario, per qualità tecniche ma anche per mentalità: in un anno in Inghilterra non ci hanno mai accolto con insulti in uno stadio avversario. Il 4-1 in finale di Europa League contro l’Arsenal è la partita che naturalmente ci ha dato più soddisfazione". Un'esperienza che l'ha fatto diventare un 'allenatore europeo': "Quando sono stato invitato a Nyon in mezzo all’élite degli allenatori europei. Mi scappa un po’ da ridere: vengo dal basso, per me è un grande motivo d’orgoglio".
Il Chelsea nei suoi ricordi, così come il Napoli, da cui non si è ancora sostanzialmente slegato a livello affettivo. "Io sono sempre legato all’ambiente e legatissimo a quel gruppo di giocatori che mi rimarrà sempre nel cuore e che mi ha permesso di fare un salto di qualità".
Gli obiettivi del 2020
La mente però si proietta già a quello che sarà il 2020, l'anno in cui dovrà provare a vincere la sfida più importante per la Juventus, la Champions League. "La Champions dev’essere un obiettivo, ma con a consapevolezza che un po’ per la forza degli avversari un po’ per il fatto di essere un torneo a eliminazione diretta ci potranno essere sempre rischi ed episodi. La parola d'ordine? Continuare a vincere e convincere. Mi sembra di essere Arrigo, però è qualcosa di ancora attuale e vero: vincere meritando la vittoria, con il predominio sulle partite. Finora si è visto solo a sprazzi, ma fa tutto parte del percorso che ho detto prima."