“Che tempo fa lassù?”. Chissà quante volte Alfred Gomis ha sentito questa battuta. Dall’alto dei suoi 196 centimetri, avrà abbozzato un sorriso e alzato le spalle. Questa volta però è diverso, perché lo domandano anche ai suoi compagni di squadra. In questo caso “lassù” significa guardare tutti dall’alto in basso.
È il tempo della Spal, inattesa capolista dopo due giornate. “Si sta bene, molto. Per noi è momentaneo però. Io invece mi sono stabilizzato a quest’altezza”. Sorride Alfred al microfono di gianlucadimarzio.com e ne ha tutti i motivi. Dopo i primi 180 minuti è l’unico portiere imbattuto della serie A. Incredibile, se si pensa che un anno fa assaggiava la categoria per la prima volta, dopo una lunga gavetta in B, tra Crotone, Cesena, Avellino e Salerno. “Siamo cresciuti nella mentalità e nella conoscenza reciproca. Grazie al lavoro del nostro allenatore, abbiamo preso confidenza con il campionato e i risultati sono la conseguenza naturale. Siamo consapevoli che non possiamo mollare un centimetro. Le cose potrebbero non andare sempre cosi bene e dobbiamo essere preparati”.
Serenità e prudenza, capisaldi del carattere di Alfred. Il guardiano dei sogni della Spal è il ritratto della tranquillità. Niente di più lontano dallo stereotipo del portiere folle o del numero uno stravagante. “In campo, quando la palla è lontana, cerco di guidare la difesa nelle marcature preventive. Per il resto, mi faccio i fatti miei e ascolto i rumori dello stadio. Ormai conosco quasi a memoria i cori delle curve italiane”.
Li ascolta e lancia qualche urlo ai suoi compagni più avanti. Senza isterismi, con una maturità maggiore della sua età. Tra pochi giorni compirà 25 anni, gli ultimi 22 passati in Italia. Guardando indietro, conosce bene la strada percorsa per arrivare ai livelli di oggi. Già, la strada. Suo padre Charles l’asfaltava ogni giorno per lavoro a Cuneo. Lì arrivò nel 1989 da Ziguinchor, Senegal. Anche lui aveva provato a buttarsi sull’erba, ma non era bravo come i suoi figli.
Tre portieri: Alfred, Maurice (oggi a Siracusa) e Lys, il più grande, nuovo acquisto del Teramo. “Per la gioia di nostra madre. Sai quanti pantaloni ha dovuto lavare. Ce ne fosse stato uno che voleva giocare in attacco…”. Uno, per la verità, ultimamente ci ha pensato. Si chiama David, ha sette anni ed è l’ultimogenito dei Gomis. “Ci ha provato, ma non mi sembra convinto. Ha fatto un paio di settimane da attaccante, ma mi sa che presto lo vedremo con i guanti”. Come i fratelli, come papà Charles.
Da due anni non c'è più. Cuneo ha perso un suo cittadino, attivista numero uno della comunità senegalese locale. Alfred ha perso un padre, ma si porta sempre dietro ciò che gli ha insegnato. Fra i pali e nella vita.
E altre cose le ha imparate, ancora grazie a lui, dopo la sua morte. Un viaggio in Senegal. Per mettere un fiore e per riscoprire il suo passato. “È stato un viaggio alla ricerca delle mie origini. Ho capito cose che ignoravo ed è stato lì che ho deciso che se ne avessi avuto la possibilità, avrei voluto giocare per il Senegal. Più che un sogno, era un’utopia. Non avevo neanche una presenza in serie A..”.
Un proverbio africano dice che “se si sogna da soli, è solo un sogno. Se si sogna insieme, è la realtà che comincia”. Forse qualcuno da lassù ha unito le forze, chissà. In ogni caso, quando a maggio il commissario tecnico Aliou Cissè ha diramato le convocazioni per il mondiale in Russia, un Gomis c’era. “Mio padre è stata la prima persona a cui l’ho detto. Io so che lui mi ha sentito”. Avrà gioito e poi si sarà arrabbiato, come milioni di senegalesi per una beffarda eliminazione nel girone H: a pari punti col Giappone, estromessi per il discutibile criterio del fair play. “Maledette ammonizioni. È stato un peccato per noi e per i 15 milioni di senegalesi che hanno visto infrangersi il sogno mondiale per due cartellini gialli. È stata comunque un’esperienza eccezionale”.
E da lì è ripartito. Nessuna delusione per non avere sporcato i pantaloncini in Russia, nessuna scoria da portarsi in campionato. Due partite, sei punti, zero gol subiti. E domenica arriva una trasferta speciale: a Torino, sponda granata. Una maglia che per Alfred è stata una doppia pelle. “Mi hanno preso quando avevo 8 anni e ho fatto tutte le giovanili lì. Grazie a loro sono diventato un calciatore. Non ho rimorsi, né propositi di rivincita. L’anno scorso i tifosi mi accolsero con un applauso che mi ha riempito il cuore. Per me però adesso esiste solo la Spal: è la squadra che ha creduto veramente in me, quella con cui voglio arrivare in alto”.
O rimanerci, visto il momento. Unico segreto per farlo, pedalare tutti insieme. E quale posto migliore per farlo se non la città col più alto numero di biciclette in Italia. “Eh lo so, me li vedo sbucare ovunque quando sono in macchina. Scherzi a parte, anch’io ne sto per prendere una. L’ho scelta, ma devono fare delle modifiche per l’altezza”.
Presto Ferrara avrà un ciclista in più. Un ragazzone di quasi due metri che para tutto e respinge di pugno l’immagine del calciatore disimpegnato socialmente. “In città sono entrato a far parte di un’associazione culturale. Si chiama ‘Umanità’ e si propone di informare sui fenomeni migratori. Presto saremo attivi con una serie di iniziative sul territorio. Ferrara è una città che mi ha accolto benissimo ed è bello fare qualcosa anche fuori dal campo. Siamo in un mondo globalizzato e quello che possiamo fare è cercare di capirne tutte le ricchezze che ne derivano”.
Alfred ne è lo specchio. Accento piemontese, tratti africani, pacatezza emiliana. Numero uno. Da generazioni.