“Aspetta, che giorno è oggi?” Da venerdì scorso in poi sono tutti uguali. Gli effetti collaterali della quarantena, anche sul calcio. Se a livello nazionale la questione riguarda soprattutto le partite a porte chiuse, tra i dilettanti è cambiata la vita di tutti i giorni. Soprattutto nei comuni della zona rossa, focolai del coronavirus italiano. “Siamo primi in classifica, ma ora non ci possiamo nemmeno allenare. Tutto è bloccato”, l’esasperazione del Casalpusterlengo.
Prima categoria lombarda, la squadra di una cittadina da 15mila anime che batte per lo sport (l’Assigeco Basket gioca in A2) e oggi è stravolta dagli eventi. “Sembra il deserto. Posti di blocco, niente macchine, nessuno in giro: roba da far west!”, ci raccontano dal club in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com. “Sono chiusi i negozi e tutti i luoghi di aggregazione. Compreso il nostro centro sportivo”.
Come a Codogno e dintorni: la sosta vietata negli spogliatoi, in confronto, è una contromisura soft. “Dalle altre parti almeno si può iniziare ad allenarsi a porte chiuse, qui continuiamo a non avere alcuna notizia: ‘Quando si riprende?’, ci assillano giocatori e tifosi. Ma la verità è che nessuno di noi sa nulla”. Il Casalpusterlengo lancia l’appello: “Non vogliamo fare polemica, perché c’è un’emergenza sanitaria e la situazione è pesante a tutti i livelli. Chiediamo solamente un po’ di chiarezza, che ci facciano capire cosa comunicare ai ragazzi”.
Finora è toccato fare di necessità virtù. “Per forza! Noi stiamo tutti bene: se le altre squadre continuano la preparazione e poi si torna a giocare?” Globalizzazione che toglie, globalizzazione che dà. “Per fortuna c’è Whatsapp: insieme agli allenatori abbiamo diffuso dei programmi personalizzati da seguire a casa o per strada, purché in pochi alla volta. A seconda delle disponibilità di ognuno”. E della location. “Abbiamo la squadra spezzata in due: la maggior parte è qui a Casal, ma alcuni vivono fuori dal regime di sorveglianza”. Due mondi paralleli.
Dentro la zona rossa: “Soli e disorientati”
Casalpusterlengo è anche un centro multietnico. E ormai per tradizione il club biancorosso ne riflette la natura: tanti italiani, dei marocchini, un togolese. Il bomber della squadra ha 25 anni ed è originario della Costa d’Avorio. “La sensazione è quella di essere abbandonati”, sospira Guy Quassy, studente di scienze motorie quando mette da parte i gol (12 in stagione). “Le uniche informazioni che ci arrivano sono quelle delle tv, che sicuramente esagerano. Poi funziona tutto per sentito dire”. Le chiacchiere scivolano, ansiogene. “Tamponi, restrizioni, novità sull’epidemia. Siamo confusi”.
Surreale. “Noi cerchiamo di stare comunque uniti il più possibile”, spiega Quassy. “Ma quando l’altro giorno dovevo portare mia mamma a Lodi, le autorità mi hanno fermato ai posti di blocco: nessuno poteva entrare o uscire dalla città. Ma oltre agli ordini, nemmeno loro sapevano con precisione come fosse gestita la situazione. Un fatto che mi ha molto colpito”.
Anche in una situazione del genere ci si aggrappa al calcio: “Cerchiamo di tenerci in forma come possiamo, qualche corsa ed esercizi in coppia. Ma se continueremo a non allenarci come si deve, la muscolatura in tre settimane la perderemo del tutto. L’unica cosa che possiamo fare è motivarci insieme. Magari anche sdrammatizzare”, il messaggio di Guy. “Mi dispiace soprattutto per chi lavora, per le giovani imprese colpite dalla paralisi di questi giorni. Dobbiamo tenere duro: Casalpusterlengo non deve mollare”.
Fuori dalla zona rossa: “Almeno gli altri si allenano a coppie!”
Cortina di ferro e mondo che cambia, qualche chilometro verso Lodi. Per tutti o quasi: “Io sono comunque in autoisolamento, perché fino a due giorni prima del blocco ero lì”. Davide Tomasoni è il capitano del Casalpusterlengo: da 10 anni in biancorosso, un passato anche nelle giovanili del Piacenza. “Fuori dalla zona rossa siamo in 3 o 4, ma tutti sparsi per la provincia”, spiega il difensore classe ’89 da Massalengo. “Se non altro i miei compagni che sono rimasti dentro possono vedersi!”.
La beffa di chi se n’è andato troppo tardi. “Qualche passeggiata, la possibilità di passarsi qualche parere in allenamento. E invece in qualche modo siamo più isolati noi: potrei diventare perseguibile se uscissi a lungo di casa”. Smart-working anche per Davide. “Sì, lavoro in un’azienda che trasporta farmaci. Sicuramente quello che sta succedendo è grave, anche se forse si sta un po’ esagerando: in tutte le zone limitrofe c’è un’apertura ai regolari allenamenti, è davvero necessario penalizzarci a questo punto? Ne risente il calcio dilettantistico”.
Ma su due punti sono tutti d’accordo, dentro e fuori Casalpusterlengo. “Ci stiamo capendo poco”, ammette anche Tomasoni. “È una situazione snervante e particolare. Però pensiero positivo, sempre”. Se lo dicono loro, la psicosi si faccia da parte. “Sono sicuro che si risolverà tutto”. E i giorni torneranno a contare.