Le mani sulla testa e il sorriso che si apre. A Sofia come a Martignano, provincia di Lecce. La stessa reazione, incredula e felice. Tommaso Milanese e il suo primo gol con la maglia della Roma in un giovedì di Europa League. Una girata di destro e poi via verso la panchina, con quell’esultanza di chi sa di essere all’inizio e alla fine di un percorso. Lo sanno anche papà Giuseppe e mamma Anna a 1113 chilometri da lì. Per anni hanno fatto la spola dalla Puglia anche solo per un abbraccio a fine allenamento. Quante volte papà Giuseppe ha spento il trattore, lasciato i suoi olivi e l’azienda agricola per correre da Tommaso.
L’EMOZIONE DA LONTANO
Immaginateli lì, a Martignano, davanti alla tv. Guardano loro figlio diciottenne gioire. Con loro c’è anche l’altro figlio Leoluca. Ha due anni più di Tommaso e per un po’ ha fatto l’arbitro. Maledetta pandemia che metti distanze nei momenti in cui vorresti solo esserci. Come sempre, dai campi di periferia a Trigoria, dalle prime scarpe troppo strette al giorno in cui lo hai visto andare via per diventare grande. Eccolo là, introverso e senza tatuaggi, voti alti a scuola, mai una parolaccia e la stessa educazione di quando nel 2016 Bruno Conti gli disse che era il momento di scegliere Roma. Tommaso Milanese lo fece, senza esitazioni. Anche se l’Atalanta ci provò fino in fondo a portarlo a Bergamo. Anche se lasciare un paesino di 2mila anime per una metropoli fa tremare le gambe a 14 anni.
Non gli sono tremate giovedì sera. Sapeva di partire titolare dal giorno prima. Avrebbe dovuto essere l’unico giovanissimo, ma un’indisposizione di Calafiori e l’infortunio di Mirante nella rifinitura, hanno aperto le porte agli esordi di Bamba e Boer. Quest’ultimo è portiere e coinquilino di Tommaso da quando, poco tempo fa, hanno lasciato il convitto di Trigoria. Una gioia da condividere, anche se solo per uno da “mani sulla testa”. Lui magari non ci credeva, ma Fonseca sicuramente sì. Ha iniziato a farlo tre mesi fa, aggregandolo sempre alla prima squadra. Settimane in cui è passato dal ragazzino senza nome a “Mila”. Tommaso ha iniziato a capire che il portoghese contava su di lui quando le correzioni sono diventate individuali. Allenamenti con i grandi e partite con la Primavera di De Rossi, finché è durata. Anche due gol contro Lazio e Juventus. Poi la sospensione giovanile ha accelerato i tempi.
L’ESORDIO E LA PATENTE RINVIATA
La prima convocazione, ecco. Quella sì che l’ha sorpreso. Roma-Cluj, 5 novembre. Sull’agenda di Tommaso c’era già un impegno: esame per la patente. Prenotazione cancellata in un istante, ci si penserà all’inizio del nuovo anno. Una giornata magica: avrebbe dovuto fare parcheggi e partenze in salita ed è finito in campo a fare un assist per Pedro. Incredibile, come quei minuti passati tra lo “scaldati” e quel “vieni Tommaso”. Il film di un’adolescenza ripercorso nella testa, il pensiero ai giorni passati a sognare quell’attimo di eterno che – scusa Baglioni – c’è.
Esordire in quell’Olimpico così diverso dal giorno dello “speravo de morì prima”. L’addio di Totti, quella lettera scandita da un re in lacrime davanti alla sua gente e a Tommaso. Aveva 14 anni ed era proprio davanti a lui, a pochi metri. Un anno prima, con la maglia giallorossa del San Donato, Tommy metteva il suo primo post Instagram: un cucchiaio su rigore. Numero 10 sulle spalle, ovviamente.
Forse in questi giorni ci ha ripensato a quel 28 maggio del 2017 o anche alla sera di Roma-Barcellona 3-0. Il colpo di testa di Manolas e l’esultanza di Tommaso, raccattapalle di quella notte. Momenti della storia di un club che ha scelto di puntare su quel bambino, diventato oggi un centrocampista di qualità e quantità. Uno che può giocare mezzala o trequartista. Tecnico e resistente. Per questo la Roma gli ha fatto firmare un contratto fino al 2024, che Tommaso ha siglato insieme alle persone più vicine a lui in questa crescita: Paolo Rodella e Marco Baschirotto, agenti e consiglieri di un ragazzo che ha diciott’anni ma solo all’anagrafe.
POCO SOCIAL, TANTO STUDIO DEI BIG
I follower sui social sono schizzati sopra i 20mila ma a lui non interessa granché. Meglio i libri o un allenamento extra. Guarda l’intensità quotidiana di Pedro e lo copia, grato di poter avere ogni giorno a che fare con uno che ha vinto tutto e non sgarra mai.
Esperienza e studio quotidiano. Tommaso ruba con gli occhi da Mkhitaryan e spesso si ferma a parlare con lui. Hanno caratteristiche simili e origini diversissime. Tredici anni di differenza che l’armeno non fa mai pesare. “Gioca tranquillo, come sai”, è stato il mantra dei suoi compagni prima di Sofia. Lo ha fatto e quando si potrà – chissà quando – ricompenserà i compagni con una cena. Tappa obbligata di chi segna il primo gol, regola aurea di ogni spogliatoio che si rispetti. E lì, in mezzo a quei campioni, il ragazzino aggregato è già “Mila” per tutti. Tre partite in Europa, aspettando l’esordio in A. Tra queste, anche i minuti finali a Cluj, chiamato in campo da Fonseca a risultato ancora in bilico.
Chissà se in questo turbinio ripensa a quel cucchiaio su campo sabbioso, post uno del suo sbarco social. Mentre lo calciava, Pedro alzava il suo trofeo numero 26. Giovedì, quando Mila ha alzato gli occhi, tolte le mani dalla testa, Pedro era lì a festeggiarlo. Minuto 22 di CSKA Sofia-Roma, nuova pagina di un romanzo iniziato tra gli olivi e che ora aspetta la serie A. E anche il ricongiungimento dentro a uno stadio con una famiglia che ha le mani sulla testa e i piedi per terra