Alla Lucciola Diego ha assaggiato i primi gelati italiani. Arrivava dopo cena, insieme ai suoi compagni. Si metteva a sedere in uno dei tanti tavolini apparecchiati fuori dal locale e ordinava il famoso affogato con crema, cioccolata, nocciola, tre ciliegine di amarena e un mix di due liquori. Claudia, la futura moglie, chiedeva anche una coppetta di fiordilatte per il piccolo chihuahua che teneva al guinzaglio: “Quando poi i tanti tifosi iniziavano ad importunarlo un po’ troppo, sapevo cosa fare”, ricorda Augusto Cerboni che, ventenne, lavorava al bar di babbo Vittorio insieme al fratello Roberto. “Hola Augusto!”, esclamava Diego con il sorriso. Voleva dire che non ce la faceva più a firmare autografi: “Allora lo caricavo sulla mia gip Toyota e lo scarrozzavo fino all’albergo”. 200 metri lungo Viale Vittorio Veneto ed ecco l’Hotel Impero, sede del ritiro estivo del Napoli nel 1984. Maradona aveva una singola e prima di andare a letto passava sempre a dare la buonanotte ad una signora anziana. La nonnina, così la chiamavano. Un bacio sulla fronte e poi sotto le coperte, perché il giorno dopo Rino Marchesi, suo primo allenatore in azzurro, lo avrebbe fatto sudare fra i castagni secolari del Monte Amiata.
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La rovesciata alla prima amichevole
Castel del Piano è un piccolo comune di 5mila abitanti, ma si dice che in quei 15 giorni fra luglio e agosto del 1984 lo affollarono oltre 30mila napoletani. Nessuno voleva perdersi i primi calci “italiani” di Diego. Molti tifosi non riuscirono a trovare un posto dove dormire, tanto da rintanarsi nei sacchi a pelo sotto i pini di Piazza della Rimembranza: “Nel Bar avevamo una saletta al piano superiore – racconta Augusto – qualcuno passò la notte fra i tavoli da biliardo: ‘We Cerbò, Nun te preoccupà – mi dicevano – si ci simme noi nisciuno te ruba niente’. Giorni indimenticabili, per lavarsi venivano usati i bagni dello stadio, lasciati appositamente aperti. Alcuni di questi tifosi sono rimasti a Castel del Piano. Hanno trovato la donna della propria vita, mettendo su famiglia e ripensando a quando, da giovani, vestirono di azzurro un asinello, lasciato correre lungo la pista che circondava lo stadio Campogrande. Era il 2 agosto 1984, succedeva prima dell’amichevole fra Neania Castel del Piano e Napoli, la prima partita italiana in assoluto di Maradona. Segnò 4 gol, compresa un’incredibile rovesciata. 13 a 1 il punteggio finale: “Ma alla fine mi fece i complimenti: ‘Che ci fai in queste categorie?’, mi chiese”, ricorda Luca Dionisi, papà di Alessio, oggi alla guida dell’Empoli primo in Serie B.
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Marcato da un fornaio
C’era anche Luca in campo, dunque. Faceva il terzino destro. Marcava un po’ Bertoni e un po’ Diego. O meglio, ci provava: “A fine partita gli passai un pennarello e gli chiesi un autografo sul braccio. L’ho tenuto per un paio di mesi, quasi non mi lavavo”, sorride. Lo mostrava fiero anche al figlio, che aveva 4 anni e che sedeva fra il pubblico: “Il Neania giocava in prima categoria, se andava bene sugli spalti c’erano 300 persone. Quel giorno erano stati staccati 7mila biglietti, ma forse c’era il doppio della gente: ‘Dottò, fatti da’ na’ maglietta, nu pantoloncino’, mi esortavano i tifosi”.
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Luca ha allenato fino all’Eccellenza, poi si è dedicato all’azienda di famiglia, importante nel settore del legno: “Il mio ruolo è sempre stato quello di tenere a bada il trequartista avversario. Quella volta era Maradona”, racconta invece un suo compagno di allora, Corrado Corsini: “Avevo la stessa età di Diego, però ero un imbianchino, mentre lui un Picasso”. Gli è stato dietro, finché ha potuto: “Ma arrivava sempre un quarto d’ora prima di me – sorride – ad un certo punto siamo caduti insieme addosso ai fotografi. Mi ha teso la mano per rialzarmi”. Corrado lavorava per l’azienda di famiglia, la Corsini Biscotti, che oggi ha più di 100 dipendenti e che vende in 26 paesi nel mondo. Nel maggio dell’84 aveva appena sposato Silvia e i giorni successivi, all’alba, correva all’edicola più vicina per comprare il giornale e leggere le ultime sulla trattativa fra Napoli e Barcellona: “Quattro anni fa, poi, per motivi di lavoro scesi a Napoli da un cliente. Ero nel suo negozio e ad un certo punto entrò anche Ferlaino: ‘Presidente, si ricorda l’amichevole a Castel del Piano? C’ero anche io’, gli dissi. Lui quasi si commosse. Mi abbracciò e mi baciò”.
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La stretta di mano che portò a quella partita
Quell’amichevole si giocò grazie ad Attilio Betti, che oggi è uno splendido 74enne e che nel 1984 era presidente del Neania. Qualche anno prima insieme al sindaco Francesco Forti, che nel frattempo aveva capito quanto i ritiri estivi delle grandi squadre avrebbero dato al turismo del suo piccolo comune, si era recato a Soccavo, dove si allenava il Napoli: “Non ero mai stato in città, mi feci accompagnare da due ragazzi napoletani – ricorda – prima bastava poco per mettersi d’accordo, una stretta di mano più che una Pec o un contratto scritto”.
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E poi sulla panchina del Napoli c’era Rino Marchesi, che negli anni è stato nominato cittadino onorario di Castel del Piano, dove oltre agli azzurri portò anche Avellino e Inter: “Il grande Carmando (storico massaggiatore di Maradona ndr) mi offriva sempre il caffè, mentre Iulianino (indimenticabile addetto stampa del Napoli) mi voleva in mezzo alle foto di squadra”, sorride Attilio, che capitava spesso all’Hotel Impero e che vorrebbe fare un salto indietro nel tempo a 36 anni fa. Una partita indelebile, come lo è stato Diego. La sua storia d'amore con Napoli è iniziata alle pendici del Monte Amiata. Fra gelati, castagni e l'amore della gente.