“Ho visto Diego. E poi Maradona”. Cerruti, il primo che lo intervistò
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Data: 26/11/2020 -

“Ho visto Diego. E poi Maradona”. Cerruti, il primo che lo intervistò

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Nel 1983 Alberto Cerruti, giornalista della Gazzetta dello Sport, entrava per primo nella vita di Maradona. Annunciò anche il suo arrivo in Italia. “La sua vita è andata ai supplementari e poi ai rigori. Ma conservo il ricordo del primissimo Diego”
Nel 1983 Alberto Cerruti, giornalista della Gazzetta dello Sport, entrava per primo nella vita di Maradona. Annunciò anche il suo arrivo in Italia. “La sua vita è andata ai supplementari e poi ai rigori. Ma conservo il ricordo del primissimo Diego”

Tanti hanno messo un microfono sotto alle labbra di Diego, pochi possono dire di averlo conosciuto. Alberto Cerruti, storica firma della Gazzetta dello Sport, è stato il primo giornalista ad avere con lui un rapporto diretto. “Quando m’incontrava, mi chiamava Alberto. Oppure ‘amigo’. Non lo vedo dal mondiale del 2002 ma ho la piccola presunzione di pensare che ancora mi avrebbe salutato e abbracciato nello stesso modo. Come con gli amici d’infanzia”.

 

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1983 -  LA PRIMA TELEFONATA: “E PARLAVA DEL NAPOLI”

Un’amicizia nata agli inizi degli anni ’80, prima che Diego diventasse un’icona globale. Era il febbraio del 1983 e un Maradona giovanissimo vestiva la maglia del Barcellona. L’Italia parlava di lui, senza avvicinarlo. Alberto decise di farlo per primo, sfruttando un’amicizia comune. “Avevo un ottimo rapporto con Daniel Passarella, suo capitano nell’Argentina. Sapevo che Diego era fermo a causa dei postumi di un’epatite virale. Chiesi il suo numero di telefono a Passarella, che Diego considerava come un padre. Quando gli telefonai, tra le varie domande, gli chiesi in quale squadra italiana avrebbe voluto giocare e lui rispose subito il Napoli. Perché Gianni Di Marzio era stato vicino a portarlo lì nel ’78 e perché avrebbe potuto così giocare con il suo amico Ramon Diaz. Un anno e mezzo prima anticipò una realtà allora impensabile”.

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1984 - DA BARCELLONA ALL’AMERICA: “VENNE AD ABBRACCIARMI”

Nella stagione successiva, i problemi col Barça si acuirono, mentre s’intensificavano le voci di un trasferimento. Alberto andò a conoscerlo di persona. “Fu molto carino, si ricordava di quella telefonata. E da lì nacque un rapporto privilegiato”. E in quel 1984 che avrebbe cambiato tutto, lo incontrò di nuovo. Questa volta a New York, dove il Barcellona era in tournée. “Ero al seguito della nazionale italiana che stava giocando amichevoli in America e in tanti ci spostammo davanti all’albergo dell’Argentina per intervistare Maradona. Diego venne ad abbracciarmi e tutti rimasero senza parole”.

 

29 MAGGIO 1984 - CARTOLINA DA NEW YORK: “MARADONA AL NAPOLI?”

Alla firma col Napoli mancava ancora un mese e un giorno, ma in realtà Maradona firmò qualcosa già quel 29 maggio. “Mio figlio (Enrico, oggi addetto stampa del Monza, ndr) ha ritrovato una cartolina spedita da New York. Il saluto mio e l’autografo di Diego. Sotto ai saluti scrissi: Stati Uniti-Italia e Maradona al Napoli?”

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30 GIUGNO 1984 - NAPOLI DELUSA POI IMPAZZITA: "È FATTA, È FATTA"

Quel punto interrogativo fu tolto solo in un drammatico e rocambolesco 30 giugno, quando ormai l’affare sembrava saltato: “Mi mandarono a Napoli a fare un servizio sulla città delusa. Alle 15:30 intervistai il sindaco Vincenzo Scotti che cercò di dare coraggio alla città, dicendo che Napoli si sarebbe risollevata. Poi alle 19:30 ebbi una telefonata con un procuratore argentino che si trovava a Barcellona. Ovviamente da un fisso, perché i cellulari non esistevano. E lì ricevetti la risposta che mi fece cambiare tutto il giornale”. E che cambiò anche la storia del calcio: “Le parole furono: ‘È fatta, è fatta, scrivi, Maradona al Napoli!’ mi diceva l’agente. Mandai il pezzo al giornale e andai a mangiare da solo all’hotel Royal. Ricordo che un cameriere mi parlava affranto e quando gli dissi che Maradona era del Napoli, ricevetti un quasi stizzito ‘ma che stai a dì??’. Non ci credeva”.

Il giornale e la notizia sarebbero usciti solo la mattina dopo, ma il passaparola si diffuse prima. “Quella sera si cominciarono a sentire i clacson lungo strade impazzite di gioia. Il giorno dopo avrei dovuto raccontare una città sgomenta e ripartire. Restai una settimana e vidi Diego salire per la prima volta le scale del San Paolo”.

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5 LUGLIO 1984-  IL BATTESIMO DI DIEGO AL SAN PAOLO

Quel 5 luglio, giorno della presentazione, è fissato nella memoria. “C’erano 70 mila persone dentro e un’attesa fuori da finale. Le bancarelle vendevano magliette, sciarpe e una cassetta musicale che sarebbe diventata famosa: ‘Maradona è megl’ e Pelé’ a tutto volume ovunque e al prezzo di 2mila lire. Era una festa, la gente affluiva dalla mattina. Quel giorno ci doveva essere anche la premiazione e successiva partita degli Allievi del Napoli che avevano vinto il loro campionato. Giocarono dopo la presentazione di Diego quando lui se n’era già andato, portandosi via tutti”.

8 SETTEMBRE 1981 - DIEGO A SAN SIRO COL BOCA

Quella in realtà non fu la prima volta che Maradona entrava in uno stadio italiano. Era già successo, l’8 settembre del 1981, quando San Siro accolse un’amichevole di lusso tra il Milan e il Boca Juniors: “C’ero e ricordo 30mila persone venute soprattutto a vedere questo ragazzino argentino. Finì 2-1 per il Boca e Diego segnò su punizione. Intervistammo Diego in aeroporto, uno sopra l’altro. Non era ancora un campione, ma aveva già vinto il mondiale juniores e il ct Menotti era stato criticato nel ’78 per averlo escluso dal mondiale in casa. Un predestinato”.

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AUTUNNO 1984: LE TELEFONATE CON I TIFOSI ALL’HOTEL ROYAL

E Napoli si accorse subito che niente sarebbe stato più come prima. “Era generoso, buono, entusiasta e attento a tutti. Poche settimane dopo l’inizio del suo primo campionato, lo invitammo a un incontro telefonico organizzato dalla Gazzetta con i tifosi. Era all’hotel Royal e l’accordo era di averlo per un’ora. Rimase un’ora e mezzo, divertendosi, con un’attenzione speciale per tutti quelli che chiamavano. Non chiese una lira, era il primissimo Maradona”.  

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Con gli anni e le esigenze del giornale, i rapporti si fecero meno frequenti. Alberto a Milano, Diego a Napoli, seguito dal collega Rosario Pastore. Anni di incredibili successi e di prime spie di malessere. È stato tradito dalla sua generosità. Dalla sua voglia di includere tutti, senza distinguere chi volesse il suo bene. Troppi si sono approfittati della sua popolarità e lui non è stato capace di allontanarli”.

1989: “L’ANNO IN CUI HA SMESSO DI ESSERE DIEGO”

La droga è stata la sua cattiva compagna di strada già negli ultimi anni napoletani. E Alberto glielo lesse negli occhi, in un burrascoso 1989, dopo la coppa Uefa vinta a Stoccarda. “Diego aveva rotto con Ferlaino e voleva andare al Marsiglia. Il campionato era ripreso e lui era rimasto in Argentina. Stavo andando a fare un reportage sul Nacional Medellin, che avrebbe di lì a poco affrontato il Milan in coppa Intercontinentale. Scesi a Bogotà e ricevetti la leggendaria chiamata di Enrico Maida, all’epoca capo del calcio alla Gazzetta. Testualmente disse ‘già che sei lì, vai in Argentina’. Otto ore di volo che diventarono 27 per raggiungere Buenos Aires, dove mi misi a caccia di Maradona”.

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Passò lì una settimana, su un marciapiede di Avenida Libertadores. “Con me c’erano anche Salvatore Biazzo della Rai, Marco Francioso di canale 5 e Marco Cherubini che all’epoca scriveva per il Giornale. Maradona usciva dalla porta, mi salutava e rientrava. Senza parlare, tesissimo, nervosissimo. Lì non vedevo più Diego. Quello era il momento in cui vedevo Maradona, il campione altezzoso. Sua moglie Claudia usciva, dispiaciuta, dicendo che Diego non stava bene”.

1990-2020: IL SECONDO TEMPO DI MARADONA

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Maradona prenotava e cancellava i voli di ritorno, poi si decise a tornare solo dopo che i giornalisti avevano preso l’aereo per l’Italia. “Riprese a giocare col Napoli, vinse lo scudetto ma quello non era più il mio Diego. Poi dopo quella scena terribile di Usa ’94, con l’infermiera che lo porta verso l’antidoping, è iniziata la parabola finale dell’uomo. Ha fatto tempi supplementari e rigori di una vita che incredibilmente è arrivata ai sessant’anni. Già nel 2005 eravamo pronti a salutarlo e si riprese. Ha vissuto più di quanto una persona normale nelle sue condizioni avrebbe potuto vivere”.

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Oggi resta una camera ardente alla Casa Rosada, un San Paolo che trema esternamente per lui e che un giorno prenderà il suo nome. “Se avesse potuto scrivere il suo epitaffio, avrebbe scritto: ‘Sono Diego e sono il numero 1’. Perché lui si è sempre considerato il più forte di tutti. A me resta quel legame incredibile. Quelli che hai con gli amici d’infanzia che non vedi da tanto ma non dimentichi mai”.



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