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Non ho visto Maradona. Me lo hanno raccontato

Non ho visto Maradona. Me lo hanno raccontato. In tanti, da quando ero piccolo, troppo piccolo per poter sperare di vederlo giocare, di avere come regalo un biglietto per andare allo stadio e assistere ad una sua partita. Vederlo dal vivo.

Ho dovuto sognarlo, immaginare come fosse quando calcava il campo. Vedere i suoi gesti nella mia mente, un po’ come leggere un libro senza figure dove devi immaginare tu i luoghi, i paesaggi, il volto del protagonista. Ero piccolo, mi piaceva il calcio, ma lo “capivo” solo attraverso i racconti di mio nonno.


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Mi mettevo seduto sul divano e lo ascoltavo parlarmi di calcio. Non importa quale fosse la sua fede, nei suoi racconti c’era sempre spazio per Diego Armando Maradona. Un mito amato, un avversario a volte invincibile e che nessuno poteva odiare: troppo forte e troppo bello da vedere. Quando c’era Maradona si stava in silenzio religioso, un po’ come a Messa. E io non so come, ma lo capivo. Era intoccabile la sua classe e andava rispettato.

Giocavo a calcio e anche lì tra un idolo e l’altro che cercavo, con scarsi risultati, di emulare mi cimentavo in giocate che (impropriamente) definivo ‘alla Maradona’. Mi lanciavo palla al piede e gridavo il suo nome come fossi un telecronista che ne raccontava appassionatamente le gesta in campo. Non arrivavo mai alla porta, ma per un attimo mi ero sentito Maradona. E quando non mi riusciva un tunnel, un dribbling nella partita della domenica, mi ricordo le urla del mister dalla panchina: “Guarda che non sei Maradona! Fai le cose semplici”. Io non l’ho visto Maradona, ma anche quelle urla me lo hanno raccontato.


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Cresci e segui il calcio, appassionatamente. Ora non sono più le parole di tuo nonno a raccontartelo e a fartelo immaginare. Ora i tuoi occhi vedono, leggono e ascoltano con più consapevolezza. Vuoi sapere chi era questo Maradona, quello che hai imitato e che volevi essere. Leggi libri, guardi video su YouTube, film e documentari. Hai fame: vuoi sapere chi sia, quello che è stato e perché tutti lo hanno sempre usato come metro di paragone per definire una bella giocata, un gol o anche solo per dirti che quello che stai facendo sul campo non va bene.


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Ho capito la Mano de Dios. Ho capito cosa significasse in quel momento storico per l’Argentina. Ho capito perché ha reso felice una Nazione vincendo un Mondiale. Ho capito anche il Maradona di Napoli: bello e determinante, decisivo come nessuno mai. Tanti gol, titoli e pagine di storia del calcio scritte e riscritte. I gol li ho rivisti tutti, o quasi: e anche lì, da solo davanti ad un monitor, sentivo mio nonno raccontarli anche mentre i telecronisti dell’epoca urlavano sbigottiti, ammirati e increduli in sottofondo.


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Ho capito perché Maradona ancora oggi era considerato un Dio. Ha fatto felici tutte le persone che gli hanno voluto bene. È partito dal niente per arrivare ad avere tutto. Forse anche troppo. Perché quando sei amato come un Dio sei anche venerato come tale. E a volte l’ammirazione morbosa opprime e non ti aiuta, anzi rischia di distruggerti. Lui ha rischiato di autodistruggersi, ma come un vero Dio si è sempre rialzato, combattendo e lottando. Ha fatto felici tutti, di nuovo.

Quando diventi grande, ormai, sai chi è Maradona. Una parola che assume significato da sola. Esprime grandezza, capacità di fare cose impensabili che altri non possono fare. Gli altri, gli esseri umani. Maradona è una parola così grande che a volte puoi solo sussurrarla, non puoi usarla impropriamente, non puoi vestirtene anche se sei solo un ragazzo con un pallone tra i piedi. Devi saperla usare e vestire. Quando ne hai consapevolezza allora puoi capire chi era, quello che è stato e cosa ha significato Maradona.


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E ora che Dio non camminerà più tra noi, resterà il suo nome e la sua Leggenda: verranno raccontate le sue gesta in campo, come è successo a me, anche alle generazioni future che sognano con una palla tra i piedi di essere come il grande Diego Armando Maradona. Io non l’ho visto, me lo hanno raccontato, ma in qualche modo l’ho vissuto.