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Da Muneco a Napoleone: Gallardo, l’allenatore più vincente della storia del River

La storia di Marcelo Gallardo, l’allenatore più vincente della storia del River Plate

Era il 27 maggio 2014. Dopo la vittoria del Torneo Final e della finale contro il San Lorenzo, El Pelado Ramon Diaz si dimetteva  da allenatore del River Plate con queste parole: “Ho portato il River Plate il più in alto possibile. Credo di avere fatto il massimo”. Pochi giorni dopo, Enzo Francescoli ha nominato Marcelo Gallardo come nuovo allenatore. Una scelta audace, vista la poca esperienza in panchina, nonostante il senso di appartenenza e l’amore per i colori de La Banda. Nessuno si sarebbe aspettato che 8 anni dopo quella decisione avrebbe rivoluzionato la storia del River, permettendogli di vincere la Libertadores 2018 nella finale del secolo contro il Boca Juniors e di ridare al club quello status per essere temuto e rispettato da chiunque nel subcontinente, che aveva perso con la retrocessione del 2011.

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Diretto e sincero, con un rapporto stretto e schietto con i suoi giocatori. Diego Borinsky, autore del libro “Gallardo Monumental: vita, pensiero e metodo di un leader”, lo descrive come un leader. In campo lo chiamavano El Muneco, perché durante un torello con la prima squadra del River, un giocatore gli disse: “Ahí va el muñequito”, ma bambola non è la traduzione più corretta per Muñeco, si tratta di un pupazzo ‘cattivo’, pauroso. A lui venne affibbiato perché ad una prima occhiata aveva un volto da bambola, mentre osservandolo più attentamente si notavano i tratti perfidi del suo ghigno. Da allenatore è diventato Napoleon, soprannome che gli ha dato il giornalista Atilio Costa Febre. Con l’ex presidente del River, Rodolfo D’Onofrio, che lo ha spiegato così: “Napoleone era un militare che convinceva le sue truppe della strategia di combattimento che dovevano seguire. E quello è Marcelo. I giocatori scendono in campo convinti del piano. Poi può uscire allo scoperto oppure no, ma loro gli credono”.

 Dagli aquiloni ad allenatore più vincente 

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Nato a Merlo, provincia di Buenos Aires, Marcelo era il primogenito di una famiglia umile. Papà Máximo lavorava come muratore e pittore, mentre mamma Ana María Maidana faceva l’impiegata nelle case di cura. Suo padre cercò di trasmettergli la passione per suo il San Lorenzo, ma alla fine ha prevalso quella per il River da parte della famiglia materna. Da bambino però preferiva far volare gli aquiloni e a calcio ha iniziato a giocare a 10 anni. Da giocatore è stato un numero 10, un enganche come lo chiamano in Argentina ed è cresciuto nelle giovanili del River Plate, con cui ha debuttato a 17 anni nel 1993 per poi trasferirsi ai francesi del Monaco nel 1999. Dal 2003 al 2006 vive una seconda esperienza al Monumental e nel 2007 torna in Francia: al PSG, e poi al club americano DC United. La terza esperienza con i Millonarios arriva nel 2010, ma non riesce a realizzare il sogno di chiudere la carriera con la maglia della banda. Nel 2011 ha attraversato il Rio de la Plata e vive la sua ultima esperienza da calciatore: firma con gli uruguaiani del Nacional di Montevideo e nel club della capitale uruguaiana è iniziata anche la sua carriera da allenatore, nella quale si è convertito nell’allenatore più vincente della storia del River Plate, nonché nell’unico ad aver vinto la Libertadores sia da giocatore che da allenatore.  

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463 panchine tra Nacional e River Plate con un bilancio di 255 vittorie, 108 pareggi e 100 sconfitte,  866 gol realizzati e solo 446: il tutto si traduce con la media di quasi 2 trofei a stagione dal 2014 al 2022. Due edizioni della Copa Libertadores (2015 e 2018), tre della Recopa Sudamericane (2015, 2016 e 2019), una Copa Sudamericana (2014), la Suruga Bank (2015), tre edizioni della Copa Argentina (2016, 2017 e 2019) e una Supercopa Argentina (2017). E nel 2021 è riuscito a vincere il titolo che gli mancava, il campionato locale: la Superliga.

Protagonismo e moduli

“Se vuoi sapere com’è il calcio, apri la testa di Gallardo e vedrai un manuale illustrato”, aveva detto il compianto Alejandro Sabella su Gallardo. Il Pachorra è stato uno dei due allenatori che hanno marchiato di più la mente di Gallardo. L’altro è Marcelo Bielsa che lo ha allenato nella nazionale argentina. La parola d’ordine di Gallardo è protagonismo, che si traduce nella ricerca di mantenere il possesso palla il più a lungo possibile e di recuperarla in fase di non possesso il più velocemente possibile. Un’identità forte, ma senza un modulo fisso. Infatti, Gallardo ha utilizzato più schieramenti nella sua carriera da allenatore. Al Nacional ha utilizzato il 4-2-3-1 e il 4-3-1-2, al River ha giocato spesso con le 2 punte e la difesa a quattro, ma anche con il 3-5-2. Ma la cosa più interessante da sottolineare è la sua capacità di mantenersi competitivo e vincente in più cicli, visto che ogni anno ha dovuto fare i conti con la partenza di uno o più uomini chiave, che venivano acquistati dalle squadre europee. “Gli vendono giocatori e lui continua a essere lì. Ricicla e continua”, aveva commentato Guardiola.  

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L’attenzione per i giovani e il sogno di un River con solo giocatori del vivaio

La capacità di generare valore e di vincere ha permesso al River di ampliare lo stadio Monumental. E questo lo si deve in gran parte al lavoro del Muneco, che nei suoi 8 anni al River ha lanciato oltre 30 giovani del vivaio e ha rivoluzionato Las Inferiores, il settore giovanile. L’Argentina che ha vinto il Mondiale in Qatar aveva una ricca componente di ex River e tra questi alcuni sono stati lanciati o potenziati proprio da Gallardo, Montiel, Palacios, Guido Rodriguez, Pezzella, Armani, Alvarez ed Enzo Fernandez, senza dimenticare Martinez Quarta, Kranevitter, Driussi, Beltran, Mammana, Balanta e Boyé, mentre al Nacional aveva allenato Matias Vecino.  

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Agli allenatori delle giovanili, Gallardo chiede di giocare con una difesa a quattro, con terzini offensivi e con due punte. I difensori devono essere in grado di giocare lontano dalla porta e di affrontare gli uno contro uno in campo aperto. Inoltre, il club filma tutti gli allenamenti e le partite delle diverse categorie del vivaio e attraverso un programma chiamato Hudl, Gallardo può osservare sul suo computer le prestazioni delle squadre giovanili. Con Gallardo, il River ha anche implementato il reparto scouting nelle province argentine di Pehuajó, Mar del Plata, Mendoza, Comodoro Rivadavia, Chaco, Moreno e a Córdoba. In tutti questi luoghi sono sparsi non meno di dieci osservatori che visionano 50mila ragazzini ogni anno. Il sogno di Gallardo era quello di costruire una squadra formata da giocatori cresciuti nel club, qualcosa che aveva proposto anche Bielsa 25 anni prima al Newell’s.

 

 

 

Per omaggiarlo, il River gli ha dedicato una statua in bronzo di 7 metri e 6,5 tonnellate, con attributi maschili spropositati. L’artista, quando le hanno chiesto il motivo di questa scelta, ha risposto che le sembrava il modo migliore per rappresentare la grandezza del 47enne di Merlo. Una scelta singolare, per dire grazie in eterno a chi ha ridato speranza a un popolo reduce dal momento più buio della propria storia.