Puskas, la grande bellezza del gol
Provate a guardare un video, di quegli anni ’50. Altro mondo, altro calcio. Bianco e nero fragile. Tranne un particolare. Mettete in pausa: quel giocatore tracagnotto potrà fare al massimo il mediano. Schiacciate play: potenza, senso del gol, movimenti moderni.
Lì, a spasso nel tempo, c’è Ferenc Puskas. Oggi avrebbe compiuto 93 anni. Ha segnato un’epoca di questo sport e 700 reti. Ma lo score continua, ieri come domani.
In marcia
Ungheria, 1945. Per le strade della capitale si sparge la voce di un ragazzino che con la maglia del Kispest non sa colpire bene di testa ma segna in tutti i modi, soprattutto grazie al formidabile sinistro. Lo chiamano Öcsi, fratellino, per la sua precocità: ad agosto, l’Europa consumata dalla guerra, il 18enne Puskas debutta e segna in nazionale.
È l’inizio di una grande marcia, nella storia e nel calcio. Quell’Ungheria partiva da potenza del pallone, capace di esportare idee e allenatori già negli anni ’20 (vedi la triste storia di Arpad Weisz) fino a sfiorare il mondiale nel ’38, in finale contro l’Italia. Ora tocca a Ferenc. E a una folta combriccola di fuoriclasse: Czibor, Koczis, Buszik. Cambierà tutto.
A partire dal nome. Nel 1949 il Kispest diventa Honved, letteralmente ‘soldato’: ormai è la squadra dell’esercito magiaro, che attira i principali campioni del paese e al calcio affianca la carriera militare. Lo stesso Puskas viene promosso al grado di maggiore. Sotto 'la legge marziale' il club fa da laboratorio a ciò che sarà in nazionale. Verso la rivoluzione. O l’illusione di, con il paese sempre più risucchiato nell’orbita sovietica.
Una e una sola
Il 15 marzo 1950 l’Ungheria cade per 5-3 in amichevole contro l’Austria. Seguiranno 4 anni e 32 gare senza ko, condite da un oro olimpico, la Coppa Internazionale e la partita che sconvolse l’ordine delle cose. Perché fino al ’53, a Wembley, gli inventori del gioco non avevano mai perso contro una compagine europea. Poi arrivano Puskas e compagni, un tornado di 6 reti a 3: Ferenc fa doppietta, siluro col destro e finezza di sinistro. È il capolavoro dell’Aranycsapat, l’Ungheria d’oro allenata da Gusztav Sebes.
La striscia positiva prosegue anche l’anno seguente, al mondiale svizzero. Quella magiara è una macchina da guerra e da festa del gol: 17 nelle prime due gare. Ma nel trionfo sulla Germania Ovest, Puskas scivola in qualche provocazione di troppo. E Werner Liebrich, centrocampista tedesco, duro sulla sua caviglia. Frattura e rientro a tempo di record. Per la finale, la 33esima partita. Anche a mezzo servizio, il fuoriclasse indirizza il rematch contro la Germania. Che poi rimonta e fa l’impresa.
Una e una sola sconfitta, fino al 1956. Quando a fermare l’Ungheria, ben oltre il calcio, saranno i carrarmati sovietici. Il bottino di Puskas in nazionale si ferma così a 85 presenze e 84 gol. Sarebbero 85 anche quelli. Ma il più importante, al 90’ della sciagurata finale di Berna, era stato annullato per una svista arbitrale. La squadra d’oro viene sgretolata dalla storia. Magnifica e incompiuta.
Per sempre in gol
Mentre a Budapest scoppia il caos la nazionale è nel pieno di una tournée europea. Molti allora decidono di non tornare. E chi, oltre che giocatore, è soldato come Ferenc viene accusato di diserzione. Con tanto di squalifica di due anni da parte della FIFA.
Puskas riesce a far scappare dall’Ungheria anche la famiglia. Trova rifugio dapprima in Italia, poi, da una dittatura all’altra, si posa sulla Spagna e sul Real Madrid franchista. È il 1958: Ferenc ha 31 anni, non si è allenato negli ultimi due e a differenza dell’Honved i Blancos puntano al tetto del mondo. Questa volta ci riuscirà davvero. Stupendo tutti, alzando tre Coppe dei Campioni, segnando a grappoli (242 in otto stagioni).
Con Alfredo Di Stefano, anche per lui uno straordinario autunno di carriera, formerà una delle coppie del gol più implacabili e complete di sempre. Classe e resistenza, l’uno tanguero e l’altro martello.
Eppure, negli anni a venire la bellezza sceglierà Puskas.
Come tanti geni sui generis, il finale dell’uomo sarà triste e decadente: dopo il ritiro a 39 anni, una modesta carriera da allenatore, l’Alzheimer nel 2000 e la famiglia costretta a vendere i premi del campione per pagargli le cure. Morirà il 17 novembre 2006, salutato dalla sua Budapest con un funerale di stato.
L’attaccante però non si è mai fermato: nei colpi di Rummenigge, Batistuta, Cristiano Ronaldo. E dal 2009, nel gol più bello dell’anno. Forse perché quelli di Puskas mostrano un calcio sempre attuale, facile da vedere e durissimo da eseguire alla perfezione. Come un cerchio. Che un po’ si chiude: nella scorsa edizione, il premio FIFA che porta il suo nome è tornato in Ungheria.