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Dal più longevo alla sorpresa: Russia 2018, storie di…ct

I dodici anni di Tabarez sulla panchina dell’Uruguay da una parte, i due mesi di Akira Nishino su quella del Giappone dall’altra. Poi Loew il “paperone” e Aliou Cissè, il meno pagato fra i suoi colleghi. Infine Il sorriso di Hernan Dario Gomez e la tensione di Sampaoli. Storie mondiali, storie di…ct

Trentadue volti diversi. Ciascuno con il proprio colore, ciascuno con la propria cultura. Gli occhi luminosi di chi ha realizzato il sogno di una vita arrivando a giocare un Mondiale. Non da calciatore, ma da allenatore. Non con i parastinchi ma con le lavagnette. Bello e difficile il mestiere del ct, fatto di scelte e responsabilità: quelle di un intero paese per esempio, pronto a riunirsi per festeggiare o piangere insieme. Trentadue destini diversi, dunque. Ognuno con la propria storia , ognuno con le proprie battaglie da raccontare.

Il più longevo

Oscar Tabarez è pronto ad iniziare il suo quinto Mondiale sulla panchina dell’Uruguay. Italia ’90 il primo, Russia 2018 la prossima tappa. Nel mezzo i titoli con il Boca Juniors, gli esoneri con Cagliari e Milan. Infine la malattia. Il Maestro da un paio di anni soffre della sindrome di Guillain-Barrè, una neuropatia motoria che tuttavia non l’ha mai fermato. In fin dei conti “sono le ambizioni positive a muovere il mondo” E lui è ancora follemente innamorato del suo paese e di quel pallone che rotola sull’erba. Lo è da sempre, fin dalla laurea in lettere conseguita da ragazzo all’università di Montevideo. Lo è dal 2006, da quando ha preso in mano una squadra strapazzata dall’Australia nei playoff di qualificazione al Mondiale tedesco. Lo è da 12 anni, 3 mesi e 29 giorni, tanto il tempo passato su quella panchina. Quanto basta per aver riportato l’Uruguay a vincere una Copa America dopo una vita e fra le prime quattro di un Mondiale. Adesso in campo, almeno durante gli allenamenti, ci va con la stampella o la carrozzina a motore. Un po’ più debole. Ma Suarez, Cavani e compagni, nonostante tutto, darebbero l’anima per lui.

Il più pagato

Dalla follia sudamericana al cinismo tedesco. Uruguay e Germania, due mondi così diversi ma avvicinati dal calcio. Da Tabarez a… Joachim Loew. Le strade si incrociano già in Sudafrica, dove il più giovane batte il più esperto nella finale per il terzo posto. 11 anni, 10 mesi e 30 giorni, tanto è passato da quando Loew si è seduto sulla panchina della Germania. Abbastanza per vincere un Mondiale e l’ultima Confederations Cup. Ma non per superare Tabarez nella classifica dei ct più longevi. Emotivo ma composto, silenzioso e sorridente. Permissivo ma non troppo, come dimostrano le regole ferree imposte ai suoi su alcool, donne e social. Vincente soprattutto, anche se in molti non se lo sarebbero aspettati quando, il 12 luglio del 2016, venne scelto come successore di un Klinsmann matato da Grosso e Del Piero. Attaccante modesto da calciatore, una parentesi felice a Stoccarda da allenatore. Poi il buio prima del 2004, prima della chiamata di Klinsmann. Insomma, troppo poco per guidare una Germania che si apprestava a rinascere dalle delusioni del 2006. Poi, fra una grattatina e l’altra, la storia l’ha scritta lui. Quanto serve per giustificare uno stipendio da 3,8 milioni che, di fatto, lo rende il ct più pagato del Mondiale


Il meno pagato

L’ultimo nella particolare classifica dei paperoni di Russia 2018 è Aliou Cissè. Stipendio da 200 000 euro, ma tanta voglia di iniziare questo Mondiale. Il suo primo da allenatore, sedici anni dopo l’ultimo giocato dal suo Senegal. C’era anche lui in Corea nel 2002. Una cavalcata da sogno, interrotta solo ai quarti dalla Turchia di Akan Sukur, Umit Davala, Emre Belozoglu, Yildiray Bastürk, Rustu Recber. Qualche mese dopo la tragedia più grande della propria vita, con molti membri della sua famiglia che perdono la vita nel naufragio del traghetto Joola, al largo delle coste del Gambia. Adesso si trova a guidare i vari Koulibaly, Manè e Keita Balde. Un sogno esserci, sorprendere tutti l’obiettivo. Con la testa in campo e gli occhi al cielo, a guardare chi non c’è più.

Il meno esperto

Dai 71 anni di Tabarez ai 42 di Cissè, che quindi è anche il più giovane fra i 32 ct partecipanti. Quello che invece è in carica da meno tempo è Akira Nishino, sulla panchina del Giappone da 2 mesi e 2 giorni. Lo scorso aprile ha preso il posto Vahid Halilhodzic, con il francobosniaco che ha pagato una serie di risultati deludenti negli ultimi test, tra cui la sconfitta con l’Ucraina e il sofferto pareggio con il Mali. Poco tempo per lui, dunque. Anche perché l’esordio del 19 giugno con la Colombia non è certamente fra i più facili e l’ultima amichevole con la Svizzera non è andata nel migliore dei modi. Tuttavia alle imprese ci è abituato eccome. Centrocampista bandiera dell’Hitachi da calciatore, era presente nella vittoria sul Brasile di Ronaldo e Roberto Carlos per 1-0 alle Olimpiadi di Atlanta del 1996. Poi, dal 1998 ad oggi, sei mondiali consecutivi per quella che è una Nazionale dal buon collettivo ma priva di una stella. Kagawa e Okazaki i nomi top. Poi un Nagatomo versione super Saiyan. Toccherà a loro rendere meno complicato il compito di Akira.

Il più criticato

Sampaoli sarà sotto pressione. Più di tutti. La sua Argentina ha dovuto lottare fino all’ultimo per qualificarsi ad un Mondiale che, a tratti, è sembrato inarrivabile. Adesso il dovere di far tornare il sorriso ad un popolo tormentato dalla povertà e ancora ferito dalla finale Mondiale persa quattro anni fa. Il clima, però, non è dei migliori. Dalle ripetute frecciatine di Maradona alle polemiche legate alle sue convocazioni. Come se non bastasse gli sono piovute addosso anche le accuse di molestie da parte di una cuoca della struttura della Federcalcio argentina, a Bueons Aires. Insomma, non il modo migliore per avvicinarsi al secondo Mondiale della sua carriera da allenatore. “Non ascolto nessuno e proseguo sulla mia strada”. Sul suo braccio c’è tatuata questa citazione dei Callejeros, la sua band preferita. Mai come in questo caso potrebbe servire




Il più rilassato

Il più sereno, dall’altra parte, sarà Hernan Dario Gomez. 62 anni e una vita tutta da raccontare. Centrocampista con qualche convocazione nella sua Colombia da calciatore, un infortunio al ginocchio a stroncarne la carriera a soli 28 anni. Un allenatore capace di portare al Mondiale tre nazionali diverse. La Colombia a Francia ’98, poi l’Ecuador in Giappone e Corea nel 2002. Era la prima volta per la Tricolor, così come lo sarà per Panama in Russia. Un terzo posto storico nel girone di qualificazione la sua ultima impresa, frutto del fedele 4-4-2 ma anche di un prudente 5-4-1. Un risultato che ha fatto impazzire tutti e che ha premiato il progetto di una nazione pronta a investire su giovani e strutture. Un successo che Gomez dedicherà ad Andres Escobar, brutalmente assassinato a Medellin dopo l’autorete con gli Stati Uniti che costò l’eliminazione ai suoi compagni. Era il Mondiale del 1994 e lui era il vice a Maturana. Un dolore indelebile, con cui convive da sempre. Russia 2018 per tornare a pensare solo ed esclusivamente al campo, divertendosi con la spensieratezza di chi ha già vinto.