Come il Colchester eliminò il Tottenham dall’EFL Cup
Domenica il City ha vinto l’edizione 2019/20: “Ma noi abbiamo fatto anche di più”. Parola di Tom Lapslie: il suo rigore entra, quello di Eriksen no e una squadra di quarta divisione vola fino ai quarti all’Old Trafford. Storia di un’impresa tutta british
C’è uno spiritosissimo libro di calcio inglese, che racconta l’improbabile cavalcata di una squadretta di dilettanti fino al trionfo in FA Cup. Fiaba e humour, certo, quella dei Wanderers di James Lloyd Carr. Eppure il Colchester United è riuscito a farla diventare realtà.
Più o meno. La competizione stavolta è la Coppa di Lega inglese, quella riservata ai soli club professionistici, che la scorsa domenica ha visto festeggiare il City di Guardiola. “Ma quello che siamo riusciti a fare noi, probabilmente, vale più di alzare il trofeo per chi lo fa ogni anno”.
A parlare è Tom Lapslie. Centrocampista classe ‘95, una vita nella piccola squadra di League Two, quarta divisione e ultimo gradino del professionismo inglese. Segni particolari? Lo scorso 24 settembre ha buttato fuori dall’EFL Cup il Tottenham vicecampione d’Europa.
Siamo nella contea dell’Essex, un piccolo centro di allenamento all’avanguardia e in mezzo al verde. Nulla fa pensare che, proprio qui, si sarebbe consumato l’inizio della fine dell’era Pochettino.
“E all’epoca nessuno del nostro gruppo poteva nemmeno sognarlo”, Lapslie inizia a raccontare il suo mondo in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com. Un esempio? Se nel romanzo il terzino era il parroco del paese, quello del Colchester non è da meno. “Già, Cohen Bramall faceva il meccanico”, rivela il compagno di squadra. “Poi dalla Non-League arrivò qui attraverso l’U23 dell’Arsenal: la maggior parte di noi ha avuto un passato nelle giovanili di club importanti. Un mix perfetto di storie di vita, la nostra è una squadra semplice ma affiatata”.
Obiettivo stagionale: promozione in League One, via playoff. “Siamo in corsa, ce la giochiamo. Questo è sempre stato il nostro unico focus: la Coppa era semplicemente un di più. E poteva anzi rivelarsi una distrazione”.
‘Alla fine tutto si riduce a questo: erano lì’.
Verso l’impresa
Va detto: il Colchester non aveva mai avuto un grande feeling con le coppe. “Per niente”, sorride Lapslie. “Quest’anno abbiamo cominciato in casa contro lo Swindon, capolista del nostro campionato: eliminarli con un netto 3-0 ci ha dato grande fiducia”.
Ma al secondo turno si fa già sul serio: “Il Crystal Palace a Selhurst Park”. Il profumo di Londra, la Premier League. In campo contro Ayew, Zaha e Benteke: “Già quella era stata una notte incredibile”, ricorda Tom. “Siamo riusciti ad arrivare al 90’ sullo 0-0 e poi sapevamo che la pressione sarebbe stata tutta dalla loro parte”. In EFL Cup niente supplementari: dal dischetto, i tiratori del Colchester sono infallibili. “Lì sorridi. E pensi di essere arrivato in cima”.
Tant’è vero che al momento del sorteggio per i 16esimi, Lapslie è tranquillo a casa sua. “Volevamo un top club: quando è uscito il numero del Tottenham ci è sembrato di aver vinto la lotteria!” A chi non piacerebbe, giocare contro la squadra su cui appena tre mesi prima c’erano incollati gli occhi del mondo al Wanda Metropolitano. “Mica pensavamo di passare il turno: ci bastava misurarci con simili campioni”.
E poi per Tom c’era una motivazione extra: “Vengo dall’est di Londra. Quindi con gran parte della mia famiglia siamo tifosi del West Ham”. Apriti cielo. “Ma ho anche molti amici che tifano Spurs! Quindi immaginatevi quanti messaggi ho ricevuto prima del match in entrambi i sensi. Nessuno di noi potrà mai dimenticare quello che seguì”.
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Il main event: l’errore di Eriksen, il gol di Lapslie
Il teatro del capolavoro è il Colchester Community Stadium, impianto da 10mila spettatori. “Tutto esaurito, pubblico a mille”, il ragazzo di casa riaccende l’atmosfera. “Ma il Tottenham non è mica uscito per colpa del terreno di gioco!” Dimenticatevi gli stadi obsoleti delle serie minori italiane: “Il nostro non sarà White Hart Lane, ma è tra i più moderni della League Two”.
Le ragioni dell’incredibile vanno cercate altrove. “Il piano partita per noi era molto semplice: tenere il pareggio”. Già contro il Palace, i ragazzi di John McGreal avevano dimostrato come si fa: “Sapevamo benissimo che se avessimo giocato all’attacco contro una squadra del genere non avremmo mai vinto. Quindi non prenderle e ripartire”.
Con la mentalità giusta: “Se eravamo lì, almeno una possibilità di farcela ce l’avevamo no? Nel tunnel prima di scendere in campo eravamo noi e loro”. Come prima di una normale partita. “Non ci veniva nemmeno in mente di fermarci e dire ‘Wow, guarda Dele Alli’. Eravamo concentrati e basta”.
Si parte. “Lucas Moura mi ha colpito più di tutti. Ridicolmente forte e veloce. Fa quello che vuole senza lasciarti avvicinare”. Ma nonostante un po’ di timore reverenziale, il Colchester tiene anche fisicamente. “È stato un match molto tattico, attento in difesa e intenso a centrocampo”. Poi ci sono stati due grandi alleati nella serata. “Il tempo: più la partita andava avanti, più gli Spurs si sarebbero innervositi nel non trovare il gol e noi al contrario avremmo preso fiducia. Ricordo gli sguardi all’orologio: 60’, 70’, ma quando finisce…”
E il portiere. “Dean Gerken. Anzi, ‘fancy Gerks’: ha grande esperienza, è arrivato fino alla Championship con l’Ipswich Town e siamo fortunati ad averlo con noi a fine carriera”. Tom riguarda le foto e gli highlights di quella notte. “Lì abbiamo davvero tremato!”, sul palo colpito da Walker-Peters. “Ma secondo me era un cross: giusto che la palla non sia entrata. Vedete? Io sono quello che esulta al limite dell’area”.
Entrano Eriksen, Lamela, Son. Ma il risultato non cambia. Rigori. Il primo lo batte proprio il nuovo acquisto dell’Inter, destro a incrociare: “E Gerken vola a pararlo!”, Lapslie si esalta anche a distanza di mesi. “Li aveva studiati bene i tiratori del Tottenham. E forse, a questo punto, sentivamo un po’ di pressione anche noi”.
È la partita della vita, avanti di un penalty. Eppure Jevani Brown del Colchester decide di tentare il cucchiaio: non può essere vero. “In quei minuti ho smesso di stupirmi di ogni cosa”, Tom si mette le mani nei capelli. “Non ero affatto contento. Nessuno dei miei compagni lo era”. Ma ora si può anche riderci su: la traiettoria è talmente lenta che Gazzaniga fa in tempo a tuffarsi, rialzarsi e respingere il pallone di pugno. Peggio che in un film (già visto). “Poteva essere un incubo: Son ha segnato subito dopo. Ma anche noi. Invece Lucas ha colpito la traversa”.
L’ultimo rigore della serie tocca a Lapslie. “Durante la rincorsa ero tranquillissimo, concentrato sul pallone e nient’altro”. Destro incrociato, come quello di Eriksen. Però più angolato: “Ho visto la palla entrare, il portiere che non ci arrivava. Tutti i ragazzi sono corsi da me e lo stadio si è riversato in campo: lì ho davvero realizzato di aver eliminato il Tottenham”.
E festa fu. “Basta vedere le nostre facce”, Tom indica ancora le foto. “Iniziammo a cantare, a sentirci in cielo. Non ci fu niente di più intenso del silenzio che precede quel rigore. E poi il boato: in tutto quel frastuono sono riuscito comunque a scambiare la maglia con Ben Davies”. Sportività very british. “Tanto di cappello al Tottenham”, sottolinea Lapslie. “Dopo una sconfitta del genere non dev’essere stato facile mantenere il sorriso senza correre subito a cambiarsi. Lo stesso Pochettino è venuto da noi a stringere la mano a tutti”.
L’attimo migliore arriva più tardi negli spogliatoi: “Dove ci vediamo ogni giorno, lavoriamo duro e siamo sempre insieme. Anche quella sera, ma per festeggiare qualcosa di unico”. Lapslie sta per uscire. “Ero l’ultimo. Poi vedo correre verso di me parenti e amici in massa: nessuno poteva crederci, non potevo volere di più. Eravamo andati avanti”. E non sarebbe finita lì.
Old Trafford: “The magic of the Cup”
La banda dell’Essex è ormai la mina vagante del torneo. “Ma agli ottavi abbiamo pescato il Crawley! Gli unici altri di League Two rimasti in corsa”. Addio potere dell’underdog: “Proprio non ci voleva. Dopo tutto quello che avevamo fatto, rischiavamo di uscire con loro? Per fortuna andò bene, un’altra grande partita”. 3-1, altro draft.
“Stavolta lo abbiamo seguito tutti insieme: uscì il Manchester United…e poi noi!”. Il Colchester se la sarebbe giocata in casa dei Red Devils. “Abbiamo esultato come il più bello dei gol: probabilmente non avremo altre chances simili in carriera”. Basti pensare all’uscita dal tunnel. “Magic moment. Non riesci a vedere il campo fino all’ultimo e poi le luci, il frastuono ti trafiggono. E wow, benvenuto all’Old Trafford”.
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La squadra di Solskjaer vede gli spettri di Tottenham e Palace: a fine primo tempo è ancora 0-0. “Stavamo tenendo bene”. Ma poi succede una cosa mai capitata prima: il Colchester va all’attacco. “Allargo il gioco per Jackson, che entra in area, tira. Romero blocca e fa partire il contropiede”. Rashford non perdona: è la fine di tutto. “Nel giro di dieci minuti prendiamo altri due gol: a quel punto abbiamo solo pensato a limitare i danni. Bellissimo, in ogni caso. Siamo usciti dallo stadio con grande soddisfazione”.
E Tom Lapslie, con un souvenir inatteso. “A fine partita ho parlato con Juan Mata”: un centrocampista di provincia e un ex campione del mondo a colloquio. “Ben fatto, vi auguro tutto il meglio”, si congratula lo spagnolo. Lapslie sorride: “Posso avere la maglietta?” Mata se la sfila e il ragazzo dell’East London inizia a correre tutto contento verso gli spogliatoi. “Aspetta! E tu non mi dai la tua?” Tom stenta a crederci tuttora: “Eppure me l’ha chiesta davvero. Potrebbe ancora avercela, da qualche parte”.
Una cosa è certa: un’avventura del genere, con la formula attuale della nostra Coppa Italia, non starebbe semplicemente in piedi. “Penso che faccia parte della cultura inglese”, spiega Lapslie. “Tutti i bambini sanno che in queste competizioni può capitare che la squadra locale butti fuori il top club. It’s the magic of the Cup. È l’unico modo per spiegare certe cose”.
Le vittorie in serie del Colchester vanno oltre e fanno la storia. Anzi la riscrivono: ‘Certi momenti non torneranno mai più. Ed è un vero peccato’, la conclusione di quel libro (perdonate lo spoiler). “Forse. Però li abbiamo vissuti”. Alla fiction, Tom Lapslie aggiunge un sorriso vero.