“Un leader da sempre”, Cuesta raccontato dallo zio

“Allenerò in Champions League”. Niente di strano, se non fosse che a dirlo è un adolescente che deve ancora iniziare la sua carriera in panchina. Più che un sogno, tipico di quell’età, però nel caso di Carlos Cuesta era un obiettivo chiaro e razionale.
Ora qualche anno dopo è pronto alla sua prima volta. La prima in A e, soprattutto, la prima da capo allenatore.
La scelta del Parma può sorprendere se si pensa alla sua età (classe 1995). Colpisce meno se si ripercorrono le strade che lo hanno condotto in gialloblù. Strade che partono dall’isola di Maiorca. La voce narrante è quella dello zio e padrino, Juan Carlos Colom. Chi meglio dell’uomo che l’ha visto crescere e che per primo gli ha dato l’opportunità di sedersi in panchina. Un percorso mosso “dall’inquietudine che lo caratterizzava già da quando aveva sei anni. Continuava a fare domande, voleva sempre conoscere qualcosa di nuovo. Colpiva per la sua capacità di apprendimento. Ed è sempre stato un leader”.
“L’ho visto giocare, quando era piccolo, e da quando lo conosco non ho mai potuto fare a meno di notare la sua intelligenza: è sempre stato in grado di prendere decisioni corrette”. Diverso dagli altri ragazzi. Un’altra testa, altri obiettivi. Il debutto in panchina è a 15 anni con il suo club, il Santa Catalina: “Serviva un allenatore per i bambini, io gli dissi che lo vedevo pronto per farlo e ha iniziato. Tutti amavano vederlo allenare, era molto passionale, le sue sessioni erano molto intense”.
La testa, dicevamo. Lascia il calcio giocato perché si rende conto di non avere le qualità per fare strada. A 18 anni la scelta: voleva essere un allenatore. “Da quel momento ha fatto di tutto per realizzare il suo obiettivo”. Studia, analizza, impara. Calcio e non solo: “Nel corso degli anni ha imparato sei lingue. Era consapevole di dover ottenere una formazione completa. Da sempre lo guida la passione, la voglia di migliorarsi. Quando si mette in testa una cosa, la realizza: questo è il motivo del suo successo”.
Nessun passato da professionista o conoscenze che possano facilitare il percorso, Carlos è il solo artefice del suo viaggio: “Ha grande personalità, ha sempre creduto in ciò che fa. Se è convinto di qualcosa, lotta fino alla fine per ottenerla. Non ha mai avuto aiuti, tutto nasce dalla sua preparazione e dalla sua passione”.
Lo dimostra il metodo utilizzato per farsi notare: “Quando si trasferì a Madrid per studiare all’università, iniziò a inviare messaggi su Twitter ai club per poter essere assunto. Fu così che lo notò l’Atletico, prendendolo per la Juvenil A. Da lì è cominciato tutto“. Faber est suae quisque fortunae.

Studio e personalità: alla scoperta di Cuesta
Sacrifici e rinunce per costruire quel sogno: “Da ragazzo dedicava moltissimo tempo allo studio, era “un giovane vecchio” per certi versi. Non dico che non uscisse con gli amici o non vivesse la vita di un giovane, ma dava priorità alla sua formazione”. Ogni giorno, Natale compreso: “Quando negli anni è tornato qui per le vacanze trascorreva ore e ore al computer guardando video, vedendo calcio alla TV, studiando schede di calciatori. Un malato di lavoro e di calcio”.
La consapevolezza come stella polare. Un ragazzo senza timori, anche se a 15 anni doveva confrontarsi con i genitori dei bambini che allenava: “In un club di provincia può capitare che i padri credano che i loro figli debbano giocare di più. Talvolta qualcuno si arrabbiava con Carlos, gli diceva qualcosa, provava a cambiare la situazione in questo modo”. Carlos non arretra, convinto della forza delle sue idee: “È sempre stato inflessibile, ha sempre creduto nella meritocrazia. Spiegava con estrema naturalezza le sue decisioni. La sua maturità mi sorprendeva moltissimo. Da questi dettagli era chiaro cosa volesse fare da grande”.
A colpire di Carlos è il suo essere da sempre consapevole. Consapevole di chi fosse e di cosa dovesse fare per raggiungere ciò che desiderava. Come quando dopo l’esperienza all’Atletico Madrid sceglie di prendersi un anno sabbatico per migliorare nelle lingue e studiare altri allenatori. Da giovane “apprezzava Mourinho. Nel tempo poi ha guardato anche a Guardiola e Arteta. Il suo stile è un mix di questi tre allenatori”.

La Juve, Cherubini e Arteta
Uno dei capitoli della crescita umana e professionale di Carlos ha come sfondo l’Italia. Torino per la precisione. Prima di andare all’Arsenal, Cuesta fa tappa alla Juventus. Un anno nello staff dell’Under 17 bianconera che gli basta per guadagnarsi la stima di Federico Cherubini. Proprio l’uomo che poi lo ha riportato in Italia, stavolta a Parma: “Mi ha raccontato che Cherubini lo apprezzava moltissimo, che avevano grande feeling. E Carlos mi ha detto chiaramente di voler tornare un giorno in Italia, perché era stato molto bene e la Juve lo trattava molto bene, e aveva un ottimo rapporto con Cherubini. Mi diceva di essere molto contento a Torino“.
Mandando una relazione su un’avversaria del City, Cuesta entra in contatto con Guardiola e Arteta. Mikel non ha dubbi: “Devo conoscere questo ragazzo”. L’allenatore apprezza quel giovane apprendista. Lo colpiscono il suo modo di vivere e vedere il calcio. Decide di portarlo con lui a Londra. “I cinque anni con Arteta all’Arsenal sono stati un master: un apprendistato costante, ogni minuto. Mikel aveva grandissima fiducia in lui, per via della sua lealtà”. Ad accomunarli la dedizione totale: “Entrambi arrivano alle 7 del mattino al centro sportivo e non se ne vanno prima delle 20”. Guardiola aveva formato Arteta. Mikel l’ha fatto con Carlos. Ora quel ragazzo è pronto per camminare da solo.

Liderazgo
C’è un aneddoto che spiega molto bene il temperamento di Carlos. In estate, racconta lo zio, “approfittava del fatto che molti calciatori venissero in vacanza qui sull’isola. Li contattava per organizzare delle sessioni di allenamento. Chiamava anche altri allenatori, per aumentare la qualità“. Alcuni di loro uscivano da quelle sessioni con gli occhi che brillavano: “Tanti, ma davvero tanti mi raccontavano di quanto fosse bello vedere Carlos allenare, spiegare, gesticolare, fare tutto con quel ritmo e quella passione. ‘Uno spettacolo’“.
Dedizione, passione ma anche lealtà. Carlos ha lasciato Maiorca da tempo, ma ha mantenuto i rapporti con gli amici d’infanzia: “Tutti i ragazzi che sono cresciuti insieme a lui qui da piccoli sono andati di recente a trovarlo a Londra. Ho visto le foto che si sono fatti al campo dell’Arsenal. Amici che conosce da quando era piccolino. Anche quando qualcuno gli ha chiesto un aiuto tramite me, si è sempre fatto trovare disponibile. Non si è mai montato la testa e si ricorda sempre da dove viene“. Da Maiorca l’appoggio e il sostegno non mancheranno mai: “Io sono molto contento di averlo potuto aiutare, gli voglio bene come se fosse un figlio. Noi tutti lo guardiamo da qui, seguendolo con attenzione e affetto ma anche rispettando i suoi spazi e il suo diritto di restare tranquillo“.
Ma alla fine si torna sempre lì, alla leadership. Anzi, al liderazgo. Una qualità che, più che dalle parole o dai discorsi, “traspare dai gesti e dai comportamenti“. C’è un auspicio che lo zio si sente di formulare: “Se credono in Carlos, se scommettono su di lui, allora che gli diano tempo. Ne hanno avuto bisogno Arteta all’Arsenal e Luis Enrique al PSG. E vedete cosa hanno costruito“. Esempi, riferimenti, maestri a cui ispirarsi. Ma da oggi, anche e soprattutto colleghi.
A cura di Nicolò Franceschin e Andrea Monforte